Siamo nel 1942, in piena seconda guerra mondiale, quando il noto giurista e politologo tedesco Carl Schmitt scrive il saggio “Terra e mare”, in forma di racconto, dedicandolo alla figlia Anima.
L’assunto principale della sua opera – la quale rappresenta una sorta di unicum, poiché si discosta quasi totalmente da tutti i suoi altri trattati che sono tipicamente di stampo giuridico-politico – è rappresentato dall’esistenza di una dicotomia Terra-Mare come motore della storia umana. Secondo Schmitt, infatti, “la storia del mondo è la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro le potenze marittime”.
L’intenzione dell’autore è quella di dimostrare come i due citati elementi – che sono in opposizione tra loro – non siano solamente due forze naturali e due spazi vitali che determinano la vita dell’uomo, bensì rappresentino la ricerca di ciò che egli definisce come “elementare”, e che si spinge fino alle soglie “dell’escatologia”, con riferimento, quindi, ai destini ultimi dell’uomo e dell’universo.
Per consolidare la sua tesi di fondo Schmitt fa iniziare il suo racconto da ciò che egli definisce come “prima rivoluzione spaziale planetaria”, ovvero dalla scoperta dell’America e dalla prima circumnavigazione della terra. Numerosi sono gli esempi di come l’uomo tra il XVI e il XVII secolo si “spinga” verso il mare; si tratta di “schiumatori del mare” di ogni sorta, come i pirati, i corsari e naturalmente i grandi esploratori.
Schmitt ricorda come l’uomo sia profondamente legato all’elemento terrestre, ma nonostante ciò nel corso della storia vi sono stati esempi di società che grazie al mare hanno conosciuto la loro fortuna e potenza. Fu questo, ad esempio, il caso della Repubblica di Venezia tra il 1000 e il 1500, e successivamente dell’Inghilterra, la quale riuscì ad ottenere un “dominio sul mondo costruito sul dominio sugli oceani”.
E’ soprattutto nel XVIII secolo che, come l’autore stesso intitola uno dei capitoli, si passa dal “pesce” alla “macchina”, ovvero dall’elemento marittimo a quello terrestre, in seguito all’ondata della prima rivoluzione industriale. Ed è proprio quest’ultimo avvenimento storico che segna l’inizio di un “nuovo stadio della rivoluzione spaziale planetaria”, poiché, come sottolinea Schmitt, lo sviluppo industriale non si fermò alla nave a vapore, alla nave da guerra e alla ferrovia, ma si spinse molto più in là con l’utilizzo dell’elettricità e la nascita dell’aviazione e della radiotelegrafia.
In quale modo si può quindi intendere e comprendere fino in fondo questo saggio? Innanzitutto e soprattutto collocandolo nel contesto in cui si trova Schmitt durante la scrittura del racconto, un contesto di totale isolamento nella Berlino della Seconda Guerra Mondiale. Con questa opera il pensatore tedesco intende mostrare ai lettori gli scenari del mondo futuro partendo da una profonda conoscenza della realtà che lo circondava. Ed è grazie al suo essere al tempo stesso giurista, politologo, filosofo e storico, e quindi un grande pensatore e studioso interdisciplinare, che egli riesce nel suo intento.
“Terra e mare” rimane indubbiamente uno dei grandi classici della storia geopolitica del XX secolo.
Recensione di Lorenzo Biagi.