In questo saggio di analisi e commento della figura dell’attuale Primo Ministro ungherese Viktor Orbán, Stefano Bottoni, docente di Storia dell’Europa Orientale presso l’Università di Firenze, ripercorre la sua storia umana e politica, dalla nascita sino ai nostri giorni. Bottoni mostra con grande efficacia come Orbán, “figlio del socialismo”, approdi con il passare del tempo ad una identità e orientamento politico totalmente opposti, riuscendo, a partire dalle elezioni politiche del 2010, ad affermarsi definitivamente come leader del Paese. Il saggio, tuttavia, non si limita ad una ricostruzione della vita del controverso Primo Ministro magiaro, ma riesce ad offrire una visione d’insieme sui principali avvenimenti storici e politici del Paese degli ultimi decenni: dalla Rivoluzione del 1956 alla transizione democratica in seguito alla caduta del Muro di Berlino, dall’ingresso nell’Unione Europea sino all’instaurazione di un nazionalismo identitario.
Orbán nasce in un momento di profonda transizione: il 1963, infatti, è un anno fondamentale per il suo Paese, poiché il regime del Presidente Kádár riuscì finalmente a porre fine ad un ventennio di guerre e repressioni politiche – il cui culmine era stata la Rivoluzione del 1956 – avviando così un processo di “modernizzazione socialista”. Orbán iniziò la sua carriera politica fondando nel 1988 Fidesz, un movimento composto soprattutto da giovani studenti, il cui nome rimase sempre lo stesso nel corso degli anni, anche quando si trasformò in un vero e proprio partito durante la sua prima esperienza di governo (1998-2002).
Fra i numerosi esempi riportati da Bottoni circa il legame fra l’Ungheria e il resto dell’Europa e del mondo – in particolare la Russia di Putin – Bottoni pone l’accento sul cosiddetto Gruppo di Visegrád, vale a dire l’alleanza politico-economica tra Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e, per l’appunto, Ungheria. Un’alleanza, questa, tra Paesi geograficamente vicini, ma in realtà molto diversi per sviluppo economico, impianto istituzionale, cultura politica ed interessi geostrategici. Come noto, poi, alcuni di questi ordinamenti hanno vissuto negli ultimi anni un’involuzione in senso illiberale, segnata da una profonda insofferenza nei confronti delle istituzioni di Bruxelles e da dure politiche anti-migratorie. In particolare, il Paese guidato da Orbán si è sempre più caratterizzato per una forte politica dell’identità regionale, per un culto della figura del Premier inteso come leader “carismatico” (nel senso weberiano del termine), e per gli evidenti elementi contraddittori che riguardano la sua appartenenza all’Unione Europea.
Sono proprio questi ultimi aspetti che spingono l’autore a definire più volte l’attuale sistema politico ungherese come una “dittatura costituzionale”, una “democrazia illiberale”, o addirittura una vera e propria “autocrazia”. D’altronde, è sufficiente pensare al discorso di Orbán del 26 luglio 2014, nel quale egli si espresse in questi termini: “il nuovo Stato che stiamo costruendo in Ungheria è uno Stato illiberale, uno Stato non liberale. Esso non respinge i principi fondamentali del liberalismo come la libertà individuale ed altri principi, ma non fa di questa ideologia l’elemento centrale dell’organizzazione dello Stato. Lo Stato illiberale, al contrario, ha un approccio differente, speciale, di tipo nazionale”. Per Orbán, dunque, è un vanto il fatto che l’Ungheria faccia parte dei Paesi illiberali. E giustamente Bottoni evidenzia come il cambiamento graduale ma costante delle posizioni politiche del leader ungherese si sia riflesso nel suo diventare, in particolare dal 2010, la figura di riferimento di leader populista e antisistema delle nuove Destre europee.
Come intendere, quindi, il lungo cammino che ha portato Orbán alla guida dell’Ungheria? Il suo potere è davvero inscalfibile? È lo stesso autore che, attraverso un’analisi dettagliata e ricca di spunti di riflessione, conduce il lettore a darsi autonomamente una risposta alle tante domande riguardanti i motivi del suo successo.
Infine, vale la pena sottolineare come recentemente vi siano stati alcuni segnali di un possibile indebolimento del potere di Orbán, come testimoniato, ad esempio, dal fatto che nelle elezioni dello scorso anno la capitale Budapest sia caduta nelle mani dell’opposizione, o anche dal fatto che i sondaggi danno il leader ungherese in leggero calo nei consensi. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che può forse aver spinto Orbán a sfruttare la tragedia del Coronavirus per dichiarare lo stato di emergenza e farsi assegnare pieni poteri a tempo indeterminato; una mossa, anche questa, che conferma, per dirla con Bottoni, come vi sia “un despota in Europa”.
Recensione di Lorenzo Biagi.