“La fine della Guerra fredda liberava i popoli dell’Europa centrorientale dal giogo sovietico e tutti noi, in Europa occidentale, dall’incubo di una guerra nucleare. Sapevamo che il crollo del comunismo avrebbe provocato alcune crisi di assestamento, ma eravamo convinti che la libertà avrebbe garantito la pace europea. Non ci rendemmo conto, tuttavia, che l’Europa, nel 1989, non stava passando dalla guerra alla pace ma dalla pace alla guerra”. È con questo incipit contenuto nel primo capitolo che Sergio Romano (ex ambasciatore presso la Nato e Mosca, ex professore universitario ed editorialista del Corriere della Sera) ci invita ad una profonda riflessione che può provocare a taluni, come lui stesso sottolinea, “sorpresa e fastidio”.
Questo poichè Romano considera la Guerra fredda come un lungo periodo di pace durante il quale i due antagonisti principali di quest’ultima, ovvero Unione Sovietica e Stati Uniti, non si sono mai ritrovati a doversi fronteggiare in un conflitto vero e proprio, anche se ci furono alcuni casi in cui la situazione fra queste due potenze sarebbe potuta degenerare. Il riferimento è ad esempio alla rivoluzione ungherese del 1956, alla cosiddetta primavera di Praga del 1968, e soprattutto alla crisi cubana dei missili sovietici del 1962. Tuttavia, in tutti e tre questi casi (e in altri) prevalse il buon senso.
Ed è esattamente sulla base di questi esempi che l’Autore sottolinea come il crollo del Muro di Berlino nel 1989, e la conseguente disgregazione dell’URSS, rappresentarono un vero e proprio spartiacque nella gestione dei rapporti fra USA e URSS. Infatti, l’eventuale scoppio di una guerra nucleare, che fu saggiamente evitata durante la Guerra fredda, lasciò posto a scontri sempre più accesi tra coloro che pensavano di averla vinta la Guerra fredda, ovvero gli USA, e la Russia post-sovietica. Basti pensare ai conflitti che scoppiarono nell’ex Jugoslavia, nel Caucaso o in Cecenia, e agli evidenti limiti da parte di entrambe le potenze di trovare accordi per scongiurare conseguenze catastrofiche.
È proprio in questo ultimo decennio del Novecento che gli Stati Uniti dichiarano esplicitamente di essere la “potenza indispensabile”, e quindi di non essere soggetti agli obblighi internazionali degli altri Stati; in realtà, durante la presidenza Clinton ciò non ebbe concreti riscontri, aspetto che invece venne a galla in maniera più che evidente durante la successiva presidenza di George W. Bush, il quale, ad esempio, annullando il provvedimento di Clinton che aveva approvato lo statuto di una Corte penale internazionale, volle difendere i suoi militari da una loro eventuale messa in giudizio di fronte, appunto, ad una Corte internazionale, fornendo così un messaggio più che chiaro del carattere di imprescindibilità dello Stato di cui era alla guida in quel momento.
La firma della resa sovietica
Inoltre, ci fu un vero e proprio vincitore della Guerra fredda? E come si possono evitare in futuro ulteriori tensioni e situazioni di crisi internazionali? È lo stesso Romano che attraverso le sue argomentazioni invita implicitamente i lettori a darsi autonomamente una possibile risposta e a riflettere su considerazioni quanto mai attuali ai giorni nostri.
Tuttavia, nonostante l’efficacia delle considerazioni che l’Autore propone, i lettori potrebbero non cogliere in profondità le motivazioni per le quali Romano considera la Guerra Fredda come un lungo periodo di pace, e questo perché tale affermazione appare in contrasto con i numerosissimi esempi riportati di casi in cui una guerra nucleare mondiale fu davvero vicina.
Inoltre, l’affermare che la fine dell’Unione Sovietica abbia rappresentato il passaggio dalla pace alla guerra, pur con argomentazioni chiare e ben elaborate, sembra non trovare un riscontro oggettivo negli anni successivi e ai giorni nostri, e pertanto potrebbe apparire a molti come una assertiva eccessiva. In realtà, soprattutto nel secondo decennio degli anni duemila, l’equilibrio geopolitico mondiale è stato messo a dura prova da una serie di gravi crisi in vari Stati; basti pensare alla seconda rivoluzione ucraina iniziata nel 2013, le cui conseguenze sono tuttora visibili con la persistente guerriglia latente che caratterizza la parte orientale dell’Ucraina ovvero il Donbass, ma anche ad esempio alle cosiddette “Primavere arabe” in nazioni come l’Egitto, la Libia e la Siria.
Un saggio e un’analisi, quella dell’Autore, di anni apparentemente lontani ma in realtà attualissimi e che ci invitano ad una profonda riflessione su ciò che sono gli odierni equilibri politici e bellici mondiali.
Articolo di Lorenzo Biagi.