Davide vs Golia, la Sanità…il ring
Davide o Golia? Chi vincerà? Chi oserà di più? Queste sono solo alcune delle domande che hanno incanalato i nostri discorsi le scorse settimane, ma oggi la domanda non sarà tanto sul chi, ma sul dove, perché per capire le criticità di uno scontro bisogna pur sempre analizzarne il contesto e il luogo di combattimento, le sue caratteristiche e quali di queste possano favorire uno o entrambi i contendenti, anche se in questo caso più che favorire si può parlare di un macabro e tragico conteggio di caduti e vittime.
Il nostro ring è un luogo e un tempo definito rispettivamente la Sanità italiana e il nostro SSN e la pandemia Covid-19, biennio 2020-21(Oggi!)
Che cos’è una pandemia?
Il termine pandemia è un qualcosa che grazie al Covid-19 ci risuona più familiare, più forte e più palpabile di quanto lo fosse prima di questa emergenza. Parlare di Pandemia infatti voleva dire parlare di un qualcosa di astratto e lontano, un qualcosa di tecnico e medico e poche volte nella storia si è così tanto abusato di questo termine in varie sfaccettature. La parola in sé deriva dal greco “pandemos” o tradotto “tutta la popolazione” (da “pan” “tutti” e “demos” popolazione). Il concetto richiama il fatto o l’ipotesi che l’intera popolazione mondiale sia esposta ad un’infezione o una malattia, di solito contagiosa. La discussione in questa sede verterà però non tanto sul tema definizione, ancora oggi comunque molto discusso e in dubbio, o su una disamina di tipo medico-scientifico; fondamentale sarà invece valutare la portata che i vari fenomeni pandemici/epidemiologici hanno avuto sulla nostra storia.
Ogni pandemia infatti o ogni fenomeno epidemiologico ha comportato profondi mutamenti e capovolgimenti sul fronte sociale, economico, politico e storico, anche nelle più semplici abitudini o stili di vita… tanto che oggi la mascherina è divenuto quell’accessorio che di accessorio ha ben poco rimanendo ritornello costante della quotidianità insieme ad igienizzanti e sanificazioni varie. Le nostre vite sono mutate e sconvolte, come nei casi storici della Peste di Atene del 430 A.C. o della Peste di Giustiniano (per alcuni causa del crollo dell’Impero Romano), o nei casi medievali di Peste nera o simili raccontati anche da poeti come Boccaccio o Manzoni. La malattia ha sempre contraddistinto la storia delle società, ma il Covid-19, come un arbitro della storia, giunge all’improvviso come una tempesta in una società che si sentiva sicura, protetta e invincibile, ora riscoperta però fragile e disorientata.
La storia in pillole del Sistema Sanitario
La storia del servizio sanitario in Italia, prima e dopo la stesura del più generale art.32 della Costituzione[1], vede numerose tappe da analizzare e approfondire, che vanno oltre le semplici linee guida già preannunciate dell’OMS e della Protezione Civile, e che celano problemi e disagi ancora oggi esistenti e strutturali.
Il ruolo di tutela della salute da parte dello Stato Italiano ha una storia controversa, in cui nel periodo che antecede la nascita del SSN, vede come strumento fondamentale a disposizione: le casse di mutua assistenza, un organismo che però metteva al centro non la persona in quanto tale, ma come lavoratore. Numerose sono state le leggi e le direttive che sin dal 1865 (la legge del 20 marzo 1865, n. 2248)[2] disciplinava la garanzia e i diritti ai trattamenti sanitari, e prima ancora delle casse di mutua assistenza, tali compiti erano affidati al Ministero dell’interno e, per quanto riguarda la gestione periferica, a prefetti e sindaci e successivamente (solo con la legge 21 dicembre 1888, n. 5849), nascevano in Italia: Consiglio superiore di sanità, la Direzione generale della sanità pubblica – presso il Ministero dell’interno – e gli uffici sanitari provinciali (con la nascita delle prime categorie di professioni sanitarie). Solo nel 1958 con la legge n 296 è stato istituito il Ministero della Sanità e solo con la c.d. legge Mariotti o “riforma ospedaliera” del 1968, è stato esteso il diritto all’assistenza ospedaliera a tutti i cittadini (con lo Stato incaricato a finanziare la Sanità e le Periferie a programmarne le attività).
I primi trasferimenti alle Regioni in termini di potestà sanitaria avvengono però ufficialmente con la loro creazione come istituto nel 1970 e con la legge del 14 Gennaio 1972 n 4, con un passaggio che riguardava le funzioni preventive, terapeutiche e riabilitative, ad eccezione dell’assistenza mutualistica, successivamente però soppressa con la legge n 349 del 1977.
La prima vera e propria norma però è la legge di riforma n.833 del 1978, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale e che ha attribuito al Ministero della Sanità il potere di intervenire in caso di epidemie e al presidente della giunta regionale il potere di emanare ordinanze in materia sanitaria. Alla base di questa riforma c’era l’idea della creazione di una struttura centrale, suddivisa in Unità Sanitarie locali(USL), strutture operative dei Comuni e delle comunità montane, che avevano il compito di provvedere alla gestione univoca e uniforme della tutela della salute (art.10 legge 23 dicembre 1978, n.833). Alla base della nascita del SSN vi erano tre principi cardine: UNIVERSALITÀ, EQUITÀ ASSISTENZIALE E FINANZIAMENTO DEL SERVIZIO ATTRAVERSO LA FISCALITÀ GENERALE!
Le USL si articolavano nei territori attraverso vari distretti di base che erogavano pronto intervento e servizi di primo livello. Le USL del 1978 non erano però enti dotati di personalità giuridica e la loro struttura (composta da un’assemblea, un comitato di gestione, un Presidente e un collegio di revisori) era di derivazione politica. La legge del 1978 fu fondamentale perché lanciò l’idea di sanità come bene universale, pubblico, essenziale, connessa ai principi di uguaglianza e parità di trattamento, e che si incentri non solo sull’aspetto della cura ma anche nei suoi servizi di prevenzione e controllo sanitario. La legge, inoltre, incaricò il governo centrale di reperire annualmente le risorse.
Successivamente alla sua istituzione nel 1978, si riscontrò l’esigenza di valorizzare ulteriormente il ruolo della Regione e di riorganizzare più volte il servizio. In particolare la legge delega 23 Ottobre 1992 e il successivo d.lgs. 30 dicembre 1992 n.502, riscontrando “inefficienze” nel sistema ad USL comunali e per attuare un maggior controllo della spesa e contenere il disavanzo, incominciarono a ridefinire le stesse USL come “aziende” e a dotarle a mano a mano della più ampia autonomia imprenditoriale (come si sviluppò nei fatti con il d.lgs. 7 dicembre 1993 n.517 con la ridefinizione di USL come azienda dotata di personalità giuridica pubblica e di autonomia patrimoniale, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica). Con queste due riforme nasce l’idea del libero mercato concorrenziale tra pubblico e privato in sanità, il pubblico incomincia a prendere forme aziendali!
La trasformazione però definitiva avvenne solo con il d.lgs.19 giugno 1999, n 229, con la creazione delle ASL, a sostituzione delle vecchie USL, e l’assegnazione a queste anche di autonomia non solo giuridica ma anche imprenditoriale. Le ASL infatti diventavano vere e proprie aziende sanitarie, con le stesse libertà e tutele di un normale imprenditore privato, ma con il vincolo che ancora erano a tutti gli effetti soggetti di diritto pubblico facenti capo alle Regioni e perciò dovevano rispettare un vincolo di bilancio, un equilibrio tra costi e ricavi e operare secondo principi di efficienza ed efficacia, evitando sprechi e mancata trasparenza con cittadini e istituzioni. Le ASL inoltre rimangono luoghi e sedi istituzionali di diritto pubblico, dove oltre ad aver ruolo predominante le Regioni, anche i sindaci ricoprono competenze di tutela di salute locale. Inoltre in casi di inefficienza, inefficacia e casi di corruzione nei singoli sistemi sanitari regionali, viene posta anche una previsione di programmi e poteri sostitutivi (c.d. commissariamento), con una gestione diretta dal Governo e con figure esterne al territorio, come ancora vige in Calabria e Molise.
Con le ultime riforme, inoltre, si incominciò anche a ragionare non solo in termini di assistenza e percorsi sanitari, ma anche in un’ottica di integrazione socio-sanitaria, secondo cui accanto ad efficaci azioni e prestazioni di cura sanitaria si debbano accompagnare azioni di protezione e integrazione sociale. Da ciò scaturisce e si sviluppa la distinzione tra prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e prestazioni sociali a rilevanza sanitaria (legge 8 novembre 2000, n 328).
La cosiddetta riforma del Titolo V della Costituzione, ovvero della legge costituzionale n° 3 del 18 ottobre 2001, si pone come crocevia principale della discussione sulla gestione della sanità pubblica. La riforma, infatti, nella sezione della distribuzione e divisione delle competenze tra Stato e Regioni, dibatte anche sulla materia sanitaria e mette in risalto come da un lato la Salute sia materia di natura legislativa concorrente tra Stato e regioni e dall’altro lato, attraverso il secondo comma dell’art.117, che la profilassi internazionale è di natura esclusiva dello Stato. La Sanità perciò è vista, in generale come materia concorrente Stato e Regione e nelle cosiddette emergenze sanitarie, ovvero in situazioni di problemi di ordine pubblico e sicurezza, come una competenza esclusiva statale. In tutto ciò, la linea in sintesi è: Stato e protezione civile dettano le linee guida dove all’interno possono anche intervenire le regioni. In seguito alle nuove disposizioni costituzionali, con il D.P.C.M. del 29 novembre 2001, vengono anche definiti i cosiddetti LEA, ovvero i Livelli essenziali di assistenza. Per LEA si intende quell’insieme di prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire alla generalità dei cittadini e che riguardano la prevenzione, l’assistenza distrettuale territoriale e quella ospedaliera.
Inoltre, grazie alla riforma del titolo V, i LEA rientrano tra le competenze esclusive statali (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.), considerandoli infatti come “prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”.
In sintesi la disciplina costituzionale post riforma del titolo V pone in luce, in base e sempre secondo il rispetto del principio di sussidiarietà, come il servizio sanitario sia articolato secondo diversi livelli di governance:
-il livello centrale (lo Stato) con la responsabilità di garantire a tutti il diritto alla Salute, attraverso i LEA;
-il livello regionale (le Regioni) con la responsabilità esecutiva nella gestione delle varie Aziende Sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, nel rispetto dei piani e delle linee guida governative in termini di spesa e qualità dei servizi offerti.
A dar seguito a questa linea programmatica, c’è stato l’impegno assunto dal governo, in sede di Conferenza delle Regioni dell’8 Agosto 2001, di adottare un provvedimento di definizione dei Lea, d’intesa con la Conferenza e poi confermato dal d.L. n 347 (convertito in legge n.405/2001), che ha affidato la definizione di questi mediante accordo in sede di Conferenza nel rispetto del d.P.C.M. del 29 Novembre 2001.
La definizione e l’aggiornamento dei Lea avviene tramite un d.P.C.M., su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Tale procedura evidenzia la volontà di determinare e garantire i Lea a livello nazionale attraverso una norma di rango primario, che poi sia specificata nei contenuti da una norma di tipo regolamentare. Seguendo le procedure della leale collaborazione attraverso la stipula dell’intesa in Conferenza. La riforma Turco, del 2007, istituendo le Case della Salute, fa’ in modo che il territorio ritrovi una sua certa centralità!
Per ultimo punto sulla gestione sanitaria regionale, sotto l’impulso e le spinte di autonomia differenziata di alcune regioni come il Veneto, la Lombardia e l’Emilia-Romagna, vi è da annotarsi anche l’intesa del 10 luglio 2014 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul nuovo Patto per la salute (per gli anni 2014-2016). Si tratta di un Accordo di natura finanziaria e programmatica tra il Governo e le Regioni – di valenza triennale – in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio sanitario nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema. Il Patto per la salute 2014-2016 segue inoltre le direttive della legge di stabilità 2016 (l. 208/2015).
Come si era preparato il SSN alla pandemia?
“Qualche Cassandra bene informata parla addirittura del Next Big One, il prossimo grande evento, come di un fatto inevitabile…. Sarà causato da un virus?”[3]
Così nel 2012 David Quammen nel libro “Spillover: Aniaml infections and the next human pandemic” si esprimeva, profetizzando l’avvento di un qualcosa di sconvolgente come realmente si è verificato nel 2020 con l’epidemia di Covid-19.
Il sistema sanitario italiano, nonostante secondo molte narrazioni ufficiali venga presentato come un sistema efficiente e a disposizione del cittadino, è un sistema diversificato nei territori e frammentario, che si prepara a ricevere nei primi mesi del 2020 un’onda tsunami devastante. Si è già parlato di come sia un sistema disomogeneo e frammentario, anche definito a “macchia di leopardo”, che nel concreto mostra una composizione a più sistemi con qualità e funzionamenti diversi, che nei fatti ha portato a ciò che Viesti definiva la “mobilità dei ricchi [4]”, ovvero in questo contesto un alto tasso di turismo per le cure sanitarie in particolare da Sud verso Nord. Infatti già negli anni e nei mesi precedenti all’emergenza, non era strano o insolito, scrutare e notare casi di “malasanità” o cattiva gestione sanitaria in molti dei sistemi sanitari italiani, in particolare nel Meridione, dove il business della salute si incrociava con il malaffare e una burocrazia lenta, macchinosa, corrotta e impreparata. Programmi televisivi, come le Iene o Report, avevamo messo in luce carenze e scandali, come i bilanci disastrati delle Asp calabresi o le fatiscenti condizioni igienico-sanitarie delle strutture delle ASL di Napoli. Questi sono solo alcuni dei più celebri esempi e campanelli di allarme che dovevano già far riflettere chi di dovere e che rappresentano solo il risultato di anni di politiche pubbliche nazionali e locali, fondate su “tagli” e mancate assunzioni, a discapito del sistema sanitario nazionale, soprattutto in termini di medicina preventiva e territoriale.
L’Italia rappresenta il paese degli eccessi e delle contrapposizioni, in cui da un lato si contrappongono terapie sperimentali e strutture d’eccellenza, modello per altri sistemi nazionali, e dall’altro strutture allo sbando che mancano dei primari livelli essenziali di servizi che dovrebbe garantire il pubblico.
Nel rapporto Sanità 2018, pubblicato da Nebo Ricerche PA, scorporando i vari periodi storici, emerge che tra il 2000 e il 2009 sono stati tagliati quasi 45000 posti letto ospedalieri, pari al 15,1% del totale, con un rapporto posti letti-abitanti passato da 5,1 ogni mille abitanti del 2000 a 4,2 del 2009. A livello medio nazionale si registra infatti un ridimensionamento dei posti pubblici del 17,2% pari a più di tre volte quello intervenuto nel privato, dove i tagli hanno riguardato solo il 5,3% dei letti di case di cura accreditate[5].
I medici di medicina generale, secondo sempre il rapporto Nebo, sono passati da una media nazionale del 12,5 ogni 10000 abitanti nel 1985 all’8,7 nel 2013. Nel medesimo periodo l’aspettativa di vita è passata da 74,5 anni a oltre 80 anni, con una popolazione anziana in aumento che richiede un’assistenza sanitaria più impegnativa. Nel 1983 il territorio nazionale era diviso in 695 Usl, Unità sanitarie locali, mentre nel 2018 le Asl sono 101[6]: ovvero aumenta sempre di più la distanza tra i cittadini e chi programma il servizio sanitario.
Nel sintetizzare il lavoro di “sgretolamento del servizio sanitario nazionale[7]”, basta riflettere su alcuni dati, che mettono in luce il de-finanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale riportati su Report Osservatorio Gimbe n.7/2019[8]:
• il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre 37 miliardi di euro, di cui circa 25 miliardi di euro tra il 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie e oltre 12 miliardi di euro, tra il 2015 e il 2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate;
• Secondo l’Ocse (dati del luglio 2019), l’Italia si attesta sotto la media Ocse, sia per la spesa sanitaria pro capite totale (3428 $ vs 3980 $), sia per la spesa sanitaria pro capite pubblica (2545$ vs 3038$), precedendo solo i Paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, rispetto a una media Ocse del 37%.
• Nel 2018 nella spesa pubblica pro-capite la Germania investiva 5056 $ vs i 2545 $ italiani, con un differenziale di 2511 $ (+97,7%).
• Secondo l’Oms, l’Italia ha dimezzato i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva, passati da 575 ogni 100 mila abitanti ai 275 attuali. Un taglio del 51% operato progressivamente dal 1997 al 2015. Scendendo nel dettaglio, complessivamente sono 5090 posti letto di terapia intensiva (8,42 per 100000 abitanti, quindi 0,0842 ogni 1000 persone), considerando inoltre che nei primi giorni di Aprile 2020 la terapia intensiva italiana ospitava 4068 malati Covid, che si aggiungevano ai degenti per altre patologie[9].
Da aggiungersi a queste scelte politiche, c’è stato il caso dei piani pandemici “fantasma”. Le regioni di Italia avevano già nei propri archivi un Piano pandemico elaborato in occasione dell’influenza suina del 2006. Il problema fu però che in molte regioni, in particolare la Lombardia, il piano non fu mai aggiornato. Il piano infatti necessitava di revisioni e modifiche, poiché presentava: la mancanza di strumenti specifici per valutare i potenziali accessi ai Pronti Soccorso e i ricoveri; la mancanza di un sistema di rilevazione degli eccessi di mortalità; l’assenza di indicazioni specifiche in grado di definire l’accordo-quadro coi gestori delle Rsa per un aumento dell’assistenza medica e infermieristica destinata al contenimento dei ricoveri. Tale inadempienza sulle falle già preesistenti, portò la Lombardia a trovarsi impreparata alla pandemia, in particolare nella gestione mascherine e dispositivi di sicurezza destinati alla medicina territoriale. In realtà nei mesi di Marzo e Aprile, nei verbali del Comitato tecnico scientifico (pubblicati solo tra agosto e i primi di settembre), si preciserà che il piano di organizzazione della risposta dell’Italia in caso di epidemia contiene tre scenari, di cui il Comitato tecnico scientifico si riserva la necessità di mantenere segreto il contenuto del piano[10].
Conclusione
Oggi si è analizzato la base, gli antefatti di un ring di uno scontro, su errori e carenze ci saranno riflessioni e giudizi da fare anche in altra sede e con altre figure più avanti. Ad oggi tale contesto può essere definito come l’ideale armamentario per prepararsi ad un’onda d’urto simile? Ad oggi ci si può ritenere soddisfatti su tali problematiche e carenze?
Noi poniamo solo interrogativi e riflessioni, domande a cui le risposte spettano solo a voi e al vostro senso critico, tuttavia mostriamo tale dato di fatto ovvero: così l’Italia che festeggiava il Capodanno il 31 dicembre 2019, si era preparata alla Pandemia del Secolo.
Tuttavia ribadiamo come sia importante avviare, dopo tale emergenza, una profonda riflessione e azione politica che riesca a superare e risolvere il rinomato dilemma: sanità vs prosperità, prima ancora che Centro e Periferie in molti casi, comprendendo che lo smantellamento del sistema sanitario pubblico e la sua trasformazione in un’industria medica in fase di privatizzazione è un danno in circostanze pandemiche. La sanità infatti è da considerare non come un costo, ma come un investimento importante e funzionale in termini di occupazione e di ridistribuzione del reddito.
Tra i botti dei fuochi di artificio che annunciavano il nuovo anno, non tremavano solo i muri perciò, ma anche le nostre coscienze e un Sistema che di lì a poco avrebbe ricevuto un colpo durissimo, atroce!
[1] Cfr. Art.32 della Cost. Italiana: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
[2] Inoltre Il primo Testo Unico delle leggi sanitarie è del 1 agosto 1907, n. 603 e in pochi inoltre, conoscono che tra le possibili fonti di gestione di un’emergenza sanitaria è ancora in vigore in Italia dal 1934 “il testo unico delle leggi sanitarie” che ha un intero capitolo dedicato alla gestione delle epidemie.
[3] Cfr. David Quammen nel libro “Spillover: Aniaml infections and the next human pandemic”, citato da “Senza Respiro” di Vittorio Agnoletto, a cura di Altraeconomia, 2020 p.194
[4] Cfr. anche Viesti, G. (2019), Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, Roma-Bari: Laterza, p.9 “la mobilità dei ricchi (che tenderebbero a fuggire dai poveri) e dei poveri (che tenderebbero a rincorrere i ricchi), come avviene oggi in Italia nel caso della mobilità per cure sanitarie”
[5] Cfr. Luciano Fassari e Giovanni Rodriguez del 14 Febbraio 2012 così scrivevano sul quotidiano Sanità, così riportato su “Senza Respiro” di Vittorio Agnoletto, a cura di Altraeconomia, 2020 p.210
[6] Cfr. Rapporto Sanità 2018, pubblicato da Nebo Ricerche PA in occasione dei 40 anni della nascita del SSN, così riportato su “Senza Respiro” di Vittorio Agnoletto, a cura di Altraeconomia, 2020 p.211
Cfr. anche per approfondimenti Ministero della salute, Pubblicazioni statistiche –
http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_8_2.jsp?lingua=italiano Ministero della salute, Open Data “Dataset Posti letto per struttura ospedaliera” – http://www.dati.salute.gov.it/dati/dettaglioDataset.jsp?menu=dati&idPag=18 Ministero della salute, Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero – Dati Sdo 2013 – http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2190_allegato.pdf Ministero della salute, Rapporto sull’attività di ricovero ospedaliero – Dati Sdo, primo semestre 2014 – http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2270_allegato.pdf
Ministero della Salute, Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/78
per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza – dati
definitivi 2016 http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2686
Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, Rapporto Osserva salute – Anno
2017 – http://www.osservatoriosullasalute.it/ Istat, Health for All – Italia – http://www.istat.it/it/archivio/14562
[7] Cfr. intervista rilasciata a “Quotidiano Sanità” del 16 settembre 2019 di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, sul Report Osservatorio Gimbe n.7/2019, https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf
[8] Cfr. per approfondimenti su dati politiche sanitarie degli ultimi anni in Italia: Il report ISTAT del 2018 https://www.istat.it/it/files/2018/12/C04.pdf e il documento dell’Unione Europea “State of Health in the EU
Italia, Profilo della Sanità 2019” https://ec.europa.eu/health/sites/health/files/state/docs/2019_chp_it_italy.pdf
[9] Dati riportati su Valori.it intervista a Rosy Battaglia del 20 Marzo 2020, in particolare https://valori.it/emergenza-coronavirus-i-tagli-alla-sanità-che-non-bisognava-fare/
Dati riportati su https://www.trt.net.tr/italiano/italia/2020/04/05/italia-primo-calo-di-ricoveri-in-terapia-intensiva-1391267
[10] Cfr. “Senza Respiro” di Vittorio Agnoletto, a cura di Altraeconomia, 2020 p.215-216