La politica estera del Conte di Cavour fu, quasi ininterrottamente, una sequela di grandi successi. Salito al potere come Primo Ministro nel 1852, impose subito il suo dominio sul governo e sul parlamento e in meno di dieci anni fu in grado di trasformare il re piemontese Vittorio Emanuele II da un sovrano poco considerato al comando di un territorio marginale in uno dei principali sovrani d’Europa, ora al timone di un regno “in grado di rivendicare un posto alla pari fra le grandi potenze”[1]. L’obiettivo iniziale dello statista non era l’unificazione dell’intera penisola, all’epoca bollata come una “sciocchezza”[2], bensì l’espansione del Regno di Sardegna in Lombardia, da secoli sogno proibito di Casa Savoia, e in tutto il Nord Italia. Il Conte di Cavour ebbe l’ingegno di capire, molto prima di altri, che per ottenere questo era cruciale prestare attenzione alla dimensione internazionale. Senza il supporto delle principali potenze europee, il Regno di Sardegna avrebbe ottenuto ben poco da un eventuale “ristrutturazione dell’Europa”[3]. Proprio per queste ragioni il Primo Ministro sabaudo, dopo aver ottenuto l’assenzo di Vittorio Emanuele II, prese una decisione che ai più pareva scellerata: l’ingresso nel gennaio del 1855 del Regno di Sardegna nella Guerra di Crimea al fianco di Francia e Gran Bretagna. Ma quali erano le intenzioni di Cavour? Sicuramente le pressioni giunte da Francia e Gran Bretagna per la partecipazione alle ostilità avevano lo scopo di sviare il Piemonte dalle sue mire nel Nord Italia così da invogliare gli austriaci ad un ingresso in guerra al fianco degli alleati. Cavour però, a differenza di una buona parte della classe politica pimontese e del re stesso, quest’ultimo deciso a intervenire esclusivamente per puro desiderio di gloria, aveva intuito che in caso di vittoria del fronte anglofrancese si sarebbe presentata una straordinaria occasione per il Regno di Sardegna di presentare dinnanzi un palcoscenico di grande importanza la preoccupante situazione in cui versava la penisola italiana e magari di ottenere il supporto di qualche grande potenza. Durante le sedute del congresso di pace di Parigi, imbastito dopo la vittoria anglofrancese nella guerra, Cavour ottenne pochissimo spazio, ma fu durante gli incontri privati con gli altri esponenti delle potenze europee, in
particolare con Napoleone III, che ottenne delle incoraggianti parole di sostegno.
L’imperatore francese sognava di seguire le orme del suo più famoso antenato, lo zio Napoleone I, e di perseguire l’espansione dell’egemonia francese in Europa. Pertanto le richieste di sostegno portate dal Primo Ministro sabaudo contro l’Austria, principale sostenitrice degli equilibri stabiliti a Vienna nel 1815, giungevano nel momento opportuno. Il supporto al piccolo regno italico avrebbe permesso alla Francia di neutralizzare un pericoloso avversario, l’Austria, e di espandere la sua egemonia in Italia. L’interesse di Napoleone III verso una nuova avventura bellica in Italia spinse l’imperatore stesso a cercare il Primo Ministro sabaudo per concordare un intervento in Italia. Incontratisi a Plombières il 21 luglio del 1858, i due pianificarono una guerra contro l’Austria per l’anno successivo. Per poter godere dell’appoggio francese il Piemonte doveva fare in modo che l’Austria apparisse come lo stato aggressore. Ciò in un primo momento si rivelò molto difficile dato che l’Impero Austriaco non cedeva alle provocazioni. Nonostante questo fu l’Austria stessa a salvare la situazione fornendo un casus belli: l’invio di un ultimatum al Piemonte dove si chiedeva il suo disarmo unilaterale. La campagna contro l’Austria iniziò con una serie di successi anche se pagati a caro prezzo soprattutto dai francesi i quali patirono ingenti perdite umane. La sofferenza per le perdite e lo sdegno dell’opinione pubblica francese unite alla crescente diffidenza di Napoleone III verso Cavour e il suo operato, spinsero l’imperatore francese a stipulare un armistizio con l’Austria. Un eccessivo successo piemontese e l’allargamento dei suoi confini verso il Centro Italia, una regione non compresa negli accordi di Plombières, avrebbe comportato la nascita di un’entità statale potenzialmente pericolosa per la Francia. Fu un grave smacco personale per il Primo Ministro sabaudo e un duro colpo per i suoi piani in politica estera, a tal punto da spingerlo a rassegnare le dimissioni nonostante la breve guerra si fosse dimostrata un sostanziale successo per il Piemonte. La carriera del Conte però non era ancora terminata. Ritornato al potere poco tempo dopo contribuì attivamente (anche se probabilmente controvoglia, costretto dalla fulminea avanzata garibaldina) all’unificazione d’Italia, naturalmente sotto la corona sabauda. Ammalatosi improvvisamente, il Conte di Cavour morì il 6 giugno del 1861 privando il giovane stato italiano, in quel momento instabile e attanagliato da grandi difficoltà, di uno dei suoi più grandi statisti. In conclusione potremmo affermare che l’intervento in Crimea e la seconda guerra d’Indipendenza esaltarono le eccezionali capacità dello statista piemontese in politica estera. Egli aveva dimostrato di possedere prospettiva e ingegno degni di un grande politico arguto conoscitore del mondo che lo circonda e di tutti i suoi meccanismi. Inoltre aveva esibito uno spiccato senso dello stato e soprattutto un’idea. Un’idea legata agli interessi del paese che serviva.
[1] Derek Beales, Eugenio F. Biagini, Il Risorgimento e l’Unificazione dell’Italia, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 155.
[2] Derek Beales, Eugenio F. Biagini, Il Risorgimento e l’Unificazione dell’Italia, p. 161.
[3] Derek Beales, Eugenio F. Biagini, Il Risorgimento e l’Unificazione dell’Italia, p. 156.
Articolo di Alessandro Trabucco.