Al termine della Seconda Guerra Mondiale tutti i paesi europei che avevano conosciuto la guerra, sia vincitori che vinti, versavano in condizioni disastrose. Le rispettive economie erano al collasso, i morti si contavano a milioni e le infrastrutture presentavano ancora i gravissimi danni causati dai combattimenti. Nonostante questo, soprattutto grazie agli strategici aiuti americani previsti dal Piano Marshall, i paesi europei conobbero già dalla fine degli anni ’40 una crescita in tutti i settori. Fra questi la Germania era il paese che poteva vantare i ritmi di crescita più elevati. In particolare, a partire dagli anni ’50, la Repubblica Federale di Germania (RFG), più comunemente conosciuta con il nome di Germania Ovest, si presentò al mondo “risorta economicamente, rigenerata nelle strutture politiche e parzialmente riarmata”[1] ritornando così a occupare un posto di primo piano nello scacchiere europeo che nel frattempo vedeva non solo la scomparsa di ciò che rimaneva degli imperi coloniali inglese e francese, con la conseguente perdita di rango dei due ex imperi, ma anche la sostenuta crescita economica italiana che permise allo stivale di accorciare, e in alcuni ambiti azzerare, le distanze con gli altri paesi europei.
Fu proprio questo contesto che vide la collaborazione di sei paesi europei, Italia, Francia Lussemburgo, Belgio, Olanda e Germania, i quali fino a qualche anno prima avevano combattuto in schieramenti opposti e che adesso si avvicinavano attraverso la firma del Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 il quale sanciva la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) il cui obiettivo era di creare un mercato comune del carbone e dell’acciaio, risorse cardine per gli apparti industriali dell’epoca. I tre maggiori sostenitori della CECA furono il Primo Ministro italiano Alcide de Gasperi, il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman e il Cancelliere tedesco Konrad Adenauer e fu uno dei rarissimi casi nella storia di triangolazione fra i tre principali paesi dell’Europa continentale nonostante le loro storiche divergenze. Come vedremo però già all’epoca emersero degli elementi che segnalavano come questo primo passo, ma anche i successivi, fosse dettato da ambizioni geopolitiche nazionali, soprattutto francesi, più che dal sincero desiderio di condividere un mercato unico. Infatti i tre, più o meno allo stesso modo, concepivano la CECA come uno strumento di persecuzione degli interessi nazionali. La Francia, la cui potenza era stata drasticamente ridimensionata dalla Seconda Guerra Mondiale, fu, per diversi motivi, la principale sostenitrice del progetto. L’esagono infatti, attivatosi energicamente solo dopo la decisione anglo-americana di rimuovere il tetto di produzione annua d’acciaio imposto ai tedeschi, temeva il ritorno di una Germania forte e sperava con la creazione della CECA di riuscire a controllare la produzione di carbone e di acciaio tedesca così da limitare le capacità dell’ingombrante vicino, impedire un suo eventuale riarmo, eliminare uno degli elementi che in passato era stato fra le cause principali dei conflitti con la Francia, cioè il controllo delle risorse presenti nelle regioni di confine come l’Alsazia, la Lorena e il bacino della Ruhr, e quindi di conseguenza rendere inimmaginabile e impossibile una guerra fra i due paesi.
L’Italia dal canto suo, coinvolta dalla Francia all’interno della CECA per poter controbilanciare il peso della Germania, espediente che i francesi ripeteranno in altre occasioni, sperava con l’adesione al progetto di aumentare la sua credibilità, di reintrodursi attivamente nel contesto politico-economico europeo e allo stesso tempo di trovare un luogo dove poter soddisfare la sua domanda di materie prime indispensabili per il sostegno della ripresa economica che il paese aveva iniziato a sperimentare. La Germania infine intendeva attraverso la CECA trovare dei mercati esteri in cui inserirsi e riabilitare nel contesto europeo la sua immagine uscita fortemente compromessa dal secondo conflitto mondiale. Il passo successivo, pensato già a Parigi nel 1951, fu la sottoscrizione a Roma il 25 marzo del 1957 dei trattati costitutivi della CEE, cioè di una comunità basata su un mercato comune europeo in grado di estendere la cooperazione economica a settori non compresi dalla CECA. Essa inizialmente conteneva gli stessi membri della precedente comunità, spinti alla firma dei trattati dalle stesse motivazioni che li avevano portati all’interno della CECA, e fu fortemente caldeggiata dagli americani i quali intendevano spingere sempre più i paesi della “Piccola Europa”[2], cioè quelli saldamente incastonati nella sfera d’influenza americana frutto della Guerra Fredda, in quella condizione economicistica che li caratterizza ancora oggi facendo sì che essi dimenticassero le loro ambizioni geopolitiche per concentrarsi maggiormente sul perseguimento del benessere e della crescita economica. Quindi, in sostanza, la CEE e la CECA erano il frutto delle attenzioni americane sul continente, dell’incontro fra gli interessi nazionali dei tre maggiori paesi dell’Europa continentale e, più in generale, del contesto storico emerso dopo il 1945. Infatti ebbe un peso considerevole nell’avvicinamento fra Italia, Francia e Germania il confronto bipolare USA-URSS scaturito dall’assetto che il mondo aveva assunto dopo la Seconda Guerra Mondiale. In America e in Europa si temeva maggiormente un’ipotetica espansione del gigante sovietico che un possibile ritorno della Germania. Pertanto tale timore figura come uno fra i principali fattori che spinsero i tre maggiori paesi dell’Europa continentale su posizioni favorevoli a un avvicinamento che avrebbe loro permesso, come anche agli altri aderenti delle due comunità, di sopravvivere alla competizione fra le due superpotenze. Infatti l’ipotetica esclusione di un paese fra Italia, Francia e Germania avrebbe comportato, e comporterebbe tutt’ora, il fallimento di uno stabile sistema di alleanze fra i paesi europei. Non a caso quelle volte che, fra ‘800 e ‘900, uno di questi tre attori si era allontanato o era stato escluso dagli altri, l’Europa si era puntualmente inabissata in una fase di intensa conflittualità. Inoltre i tre paesi, nonostante gli attriti di lunga data, si consideravano a vicenda, e si considerano tutt’ora, dei punti di riferimento storici le cui vicende passate si erano sempre intersecate e avevano spesso plasmato le rispettive nazioni. Infine, non va mai dimenticato, giocarono un ruolo decisivo anche gli interessi degli Stati Uniti sul continente. Essi infatti, come abbiamo già accennato prima, facevano pressioni in favore di un’unione economica dei principali paesi europei affinché essi si limitassero a competere esclusivamente negli scenari economici e non geopolitici, cosicché l’interdipendenza creata dall’unione impedisse a uno di questi, Germania in particolare, di raggiungere una forza tale da permettergli di assurgere a potenza tout court e quindi di divenire diretto contendente degli USA nel dominio dell’Europa.
Oggi, come sessant’anni fa, si ripropone a Italia, Francia e Germania la necessità di avvicinarsi per poter fronteggiare a testa alta le nuove sfide che il XXI secolo sta portando con sé ma anche, e aggiungerei soprattutto, per soddisfare gli ormai mutati interessi dei singoli paesi. Prima di tutto, la creazione di un tavolo di discussione “privato” fra i tre paesi dove poter coordinare delle iniziative comuni è necessaria dinnanzi all’inasprimento dello scontro fra due superpotenze come gli Stati Uniti e la Cina. Tale cooperazione permetterebbe di vincere le ostilità americane verso il commercio con la dinamica economia della potenza asiatica e allo stesso tempo renderebbe il nuovo triangolo indispensabile agli Stati Uniti sia per fronteggiare avversari come la Cina e la Turchia sia per garantire un maggiore controllo della Germania i cui recenti flirt con Cina e Russia hanno fatto al quanto innervosire Washington. Inoltre l’avvicinamento dei tre maggiori paesi europei permetterebbe di aprire un ulteriore tavolo di discussioni dove affrontare l’imminente (e dolorosa) transizione ecologica, le strategie comuni da adottare nella lotta al Coronavirus, il quale ha colpito molto duramente tutti e tre i paesi, e soprattutto eventuali riscritture delle regole monetarie e fiscali europee, caldeggiate soprattutto da Italia e Francia, ansiose di non sprofondare nuovamente nell’austerità al termine dell’emergenza Covid-19. Infine la convergenza dei tre aprirebbe all’Italia nuovi spazi di manovra dove poter impegnarsi a favore di una maggiore tutela dei suoi interessi nel fu Mare Nostrum instaurando un rapporto più diretto con la Francia nello scacchiere Mediterraneo e permetterebbe all’Europa di poter giocare un ruolo di primo piano, sempre sotto l’ala protettiva del Stati Uniti, nel contenimento e nel contrasto della crescente aggressività della Turchia.
Bibliografia e sitografia
-Alberto De Sanctis, Giochiamoci bene il Mediterraneo, in “Limes Rivista Italiana di Geopolitica”, 04/2021.
-Fabrizio Maronta, L’invenzione dell’«Europa», in “Limes Rivista Italiana di Geopolitica”, 08/2020.
-Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi, Laterza, Bari, 2014.
–https://www.youtube.com/watch?v=eY18l2Yjsrg
–https://www.youtube.com/watch?v=IInivqq0uus
[1] Fabrizio Maronta, L’invenzione dell’«Europa», in “Limes Rivista Italiana di Geopolitica”, 08/2020, p. 104.
[2] Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi, Laterza, Bari, 2014, p. 476.
Articolo di Alessandro Trabucco.