Nel corso degli anni le ragioni del collasso del Regno delle Due Sicilie sono spesso state identificate nell’arretratezza della sua economia, della sua società e delle sue istituzioni, ma anche nel forte desiderio di unità nazionale che attraversava l’intera penisola. Ma fu davvero così? In realtà il desiderio di unità nazionale era sentito soltanto presso ristretti gruppi di persone, all’interno dei quali molti continuavano a percepire il Regno delle Due Sicilie e la sua popolazione come un qualcosa di essenzialmente estraneo al resto dell’Italia. Per di più gli studi di alcuni storici hanno riportato come in realtà l’intelaiatura del regno fosse tutto sommato robusta e promettente, caratterizzata da valenti forze armate, da un’amministrazione pubblica costruita sul valido modello francese, da un sistema giudiziario garantista e da una magistratura ufficialmente indipendente dall’esecutivo.
Le motivazioni che hanno portato al crollo del regno sono altre, poche ma decisive, sia esterne che interne, senza dimenticare che tale dissolvimento fu fino agli ultimi istanti una partita ancora tutta da giocare.
Partiamo dal 1848. È da questo momento che il Regno delle Due Sicilie perde una grossa parte della considerazione di cui godeva sia all’esterno che all’interno, dando inizio al suo lento cammino di discesa che lo porterà alla disgregazione. Il 1848 per il regno inizia il 12 gennaio con la rivolta di Palermo, capoluogo di un’isola quasi interamente ostile al dominio dei Borbone, spesso pronta a ribellarsi contro di esso e da tempo alla ricerca di un’autonomia basata sulla costituzione siciliana di stampo britannico del 1812.
Tale rivolta si estese su tutta l’isola spazzando via in poco tempo l’intero apparato amministrativo e repressivo del regime borbonico e portando in febbraio all’indipendenza dell’isola che si dette una costituzione su modello di quella del 1812.
Il re Ferdinando II, circondato dalle rivolte che erano divampate anche nel territorio peninsulare, decise il 29 gennaio di concedere una costituzione più moderata rispetto a quella siciliana. L’involuzione assolutistica però non tardò ad arrivare e solo pochi mesi dopo la concessione della costituzione Ferdinando richiamò il contingente napoletano schierato a nord al fianco dei piemontesi contro gli austriaci per poi dare avvio alla repressione che entro l’estate del 1849 riportò la Sicilia sotto il controllo di Napoli e ristabilì il regime assolutistico in tutto il regno. In questo esatto momento il regime conobbe un crollo della sua legittimazione presso una buona parte della popolazione del regno ma soprattutto presso le principali nazioni europee, Francia e Gran Bretagna in testa. In questo esatto istante il regno perse la possibilità di ergersi a paladino e difensore delle aspirazioni nazionali italiane, lasciando questi ruoli all’unico stato della penisola che non aveva revocato la costituzione, il Regno di Sardegna, e creando un’immagine di sé oscurantista, retrograda e aliena presso le principali potenze europee.
Pochi anni dopo, nel 1860, la situazione non aveva conosciuto grandi cambiamenti. Nonostante le forti pressioni inglesi in favore di un’apertura liberale e nonostante la salita al trono di Francesco II, il Regno delle Due Sicilie era rimasto sostanzialmente un regime di stampo assolutistico, detestato in Sicilia, delegittimato in buona parte della penisola, isolato e schernito all’estero. Fu in questo contesto che si inserì una nuova rivolta in Sicilia, la quinta negli ultimi settant’anni. Garibaldi intuì l’occasione, avviò i preparativi per una spedizione nell’isola e nella notte fra il 5 e il 6 maggio del 1860 partì con un gruppo di volontari, i famosi mille. L’11 maggio sbarcò a Marsala senza incontrare particolari ostacoli e da qui iniziò la trionfale cavalcata che tutti noi conosciamo e che infine lo portò fino a Teano.
Preso atto degli avvenimenti, le prime domande che ci si pone sono: come ha potuto il più grande esercito italiano dell’epoca, ben armato e addestrato, uscire sconfitto dal confronto con un’armata fatta di irregolari? Come ha potuto il regime dei Borbone sgretolarsi così velocemente? Proveremo a dare una risposta. L’esercito napoletano conosceva bene l’efferata violenza dei suoi avversari, i rivoltosi siciliani, e li considerava una grande minaccia. Garibaldi però, pur temendoli anch’esso, ebbe l’ardire di volgere a proprio vantaggio una situazione sconveniente, favorendo il loro schieramento al proprio fianco e avendo la possibilità, quindi, di fare affidamento su combattenti spietati, determinati ed esperti conoscitori del territorio.
Inoltre Garibaldi, comandante dotato di grandi capacità e carisma, in grado di infondere coraggio e determinazione fra le sue forze, poteva contare anche sulla fama personale che lo precedeva. Al contrario l’esercito napoletano dovette affrontare queste bande di rivoltosi che sbucavano da ogni angolo, le forze di Garibaldi e più in generale la profonda ostilità di un’intera regione che li voleva vedere morti. Nonostante ciò il regno avrebbe potuto ancora resistere e riuscire a limitare i danni sfruttando le piazzeforti in suo possesso, la sua evidente superiorità in uomini e mezzi, la sua intatta amministrazione, in generale il suo intatto sistema, ma non fu così. Durante l’avanzata dei garibaldini il regime conobbe degli stravolgimenti i quali, assieme all’isolamento internazionale, ne decretarono la fine.
Il 25 giugno del 1860 il re Francesco II dette inizio a un’inaspettata quanto avventata svolta costituzionale riportando in vigore il sistema rappresentativo, la costituzione del 1848 e scarcerando i detenuti politici. Tre settimane dopo nominò Ministro dell’Interno il prefetto della polizia ed ex liberale antiborbonico Liborio Romano.
Con questa svolta il re condannò il suo regime, infatti se essa solo qualche anno prima sarebbe potuta risultare efficace, in seguito si rivelò solamente attardata e devastante. Il Ministro Romano, incaricato dal re di salvare il regno e di dargli un nuovo volto, non farà invece che accelerare il suo disfacimento. Esso (con il grande aiuto della camorra) stravolse la polizia creando uno strumento per il controllo delle masse di lazzari storicamente fedeli alla monarchia borbonica. Successivamente avviò una massiccia campagna di destituzioni che portò allo smantellamento dell’amministrazione e della magistratura, alla sostituzione dei vecchi sindaci e dei vecchi consigli comunali.
Tutta l’impalcatura del regno che ancora sosteneva il regime fu spazzata via, come una sorta di “colpo di spugna” sul vecchio sistema. Con il disfacimento di tutte le ultime reti di consenso rimaste al regime, con la sostituzione di numerosi ufficiali, con l’incertezza dei comandanti, quindi con la vera e propria decapitazione del sistema, le forze armate non potevano che sentirsi abbandonate e di conseguenza poco motivate a combattere per un regime isolato in cui non si rispecchiavano più. Oltre all’avanzata dei garibaldini e agli stravolgimenti interni, un altro fattore giocò a sfavore del Regno delle Due Sicilie.
Durante gli ultimi anni di repressione e assolutismo il re, il Regno e tutto il popolo meridionale erano stati quasi completamente isolati e ricoperti di insulti provenienti sia dalla stampa estera che da esponenti dei governi esteri. Per esempio nel 1851 William Gladstone definiva il regime napoletano come “la negazione di Dio eretta a sistema di governo” e pochi anni dopo Lord Palmerston insultò Francesco II definendolo “crudele, falso e bigotto”. Erano numerosissime le espressioni di disprezzo verso il regime esplicitate dagli ambasciatori stranieri a Napoli o espresse da altri personaggi politici stranieri agli ambasciatori delle Due Sicilie all’estero. A tutto questo si aggiunsero i commenti negativi non solo su tutto il popolo del Regno, definito “una razza di briganti”, “un ammasso di bruti” o “un popolo mezzo barbaro, di una ignoranza assoluta, di una superstizione senza limiti, ardente e passionale come sono gli africani”, ma su tutto il sud in generale definito “un’ulcera” o addirittura “una cancrena” per l’Italia.
Oltre alla situazione di abbandono da parte del regime si diffuse anche una sensazione di isolamento tra i soldati che si può evincere dalle parole pronunciate da un ufficiale riferendosi al suo re: “Ma se l’Europa non lo vuole, perché dobbiamo farci ammazzare per lui?”. Questa frase dà un’ulteriore motivazione alle numerose e clamorose sconfitte che subirono le forze del regno.
In un contesto del genere e senza il supporto di nessuno, il Regno delle Due Sicilie rimaneva in balia degli eventi e in più doveva prendere atto del favore e degli aiuti che le principali potenze dell’epoca, Gran Bretagna in testa, avevano concesso ai suoi avversari, cioè al liberale Regno di Sardegna e a Garibaldi, personaggio che in Italia come all’estero godeva di un ampio consenso e di una grande stima.
Le cause che hanno portato all’istantaneo e apparentemente inspiegabile disfacimento del Regno delle Due Sicilie sono principalmente tre: l’ostilità della Sicilia che ha fiaccato per decenni le energie del regno e che ha permesso a Garibaldi di sbarcare e sconfiggere con l’aiuto dei rivoltosi le truppe di Napoli; gli errori interni compiuti dal regime che hanno unicamente portato a una tardiva svolta costituzionale, colpevole di aver distrutto quel che rimaneva dei principali punti di forza della dinastia e quel briciolo di legittimità e consenso di cui il regime ancora godeva; gli errori geopolitici del regno che, senza un costituzione liberale e caratterizzato da pratiche di potere assolutistiche e repressive, lo condussero a un profondo isolamento presso le nazioni europee le quali, di conseguenza, non furono disposte a schierarsi al suo fianco e a difendere la sua esistenza.
Articolo di Alessandro Trabucco