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Il Fronte Artico

La Russia guarda a nord nella competizione globale

L’Artico cambierà drasticamente. Per il suo dominio, potrebbe scoppiare un conflitto”. E ancora: “Spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità. Non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico”.

Due dichiarazioni al fulmicotone che potremmo aspettarci da qualche diplomatico fumantino riguardo ad alcuni dei fronti più caldi del pianeta. Sono invece rispettivamente il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden e il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin che, a stretto giro di posta l’uno dall’altro circa un anno fa, mostravano i muscoli per il controllo di un terzo delle risorse globali all’interno della zona più militarizzata al mondo, una delle più fredde e disabitate del Globo. Il Grande Nord, l’Artico, sempre più in ebollizione.

L’eccezionalismo dell’Artico aveva resistito nonostante tutto: un luogo in capo al mondo dove si fronteggiano due potenze nucleari che condividono i confini polari, ma dove il termine “conflitto” veniva sostituito con il motto diplomatico “cooperazione, stabilità dialogo” in tutte le conferenze internazionali sul tema. Uno spirito rappresentato dalla nascita del Consiglio artico nel 1996 composto da otto paesi (Usa, Russia, Canada, Norvegia, Islanda, Danimarca per via della Groenlandia, Svezia e Finlandia) che si riunivano periodicamente per discutere di ambiente, commercio o navigazione e dove le grandi crisi internazionali restavano fuori.

Convegni poco ambiti per i grandi diplomatici, almeno fino a i primi segnali di scioglimento dei ghiacci per via del riscaldamento globale, quando l’Artico ha cominciato a suscitare gli appetiti dei grandi della Terra. La situazione ha retto anche dopo i fatti di Crimea del 2014, ma non dopo l’invasione russa del 24 febbraio: i sette paesi artici hanno cessato ogni sorta di collaborazione con Mosca e spaccato in due il Consiglio. Sono poi arrivate le adesioni di Svezia (non ancora formalizzata) e Finlandia alla Nato che hanno reso il Consiglio definitivamente euro-atlantico.

Si profila adesso uno scontro non solo diplomatico, ma sempre più a tinte militari. I russi hanno una buona quantità di testate nucleari lungo i loro 20mila chilometri e più di costa polare (il 52% delle coste appartengono a loro) e con la Flotta del Nord nella penisola di Kola, che protegge le proprie riserve di gas e petrolio sempre più esposte per via dello scioglimento dei ghiacci, possono proiettarsi sino al Nord Atlantico e al Pacifico. L’Alleanza Atlantica a suon di investimenti e influenza nella regione non resta a guardare: nella National Strategy for the Arctic Region gli Stati Uniti hanno avvisato i russi che impediranno loro “con ogni mezzo” di dominare l’Artico, senza dimenticare la “minaccia militare cinese” e le “loro finte basi scientifiche nella regione”.

Una Cina forse qui più vicina a Mosca rispetto ad altri fronti internazionali: i due paesi infatti svolgono manovre congiunte nel mar di Bering e condividono tecnologie e informazioni per la navigazione. All’ultimo Arctic Circle di Reykjavik dello scorso ottobre, l’inviato speciale di Pechino per la regione artica Feng Gao dopo aver replicato a tono alle accuse dell’ammiraglio Rob Bauer (presidente del comitato militare Nato), che criticava la Repubblica Popolare per la non condanna dell’invasione russa in Ucraina gli ha risposto: “Non stiamo parlando di Ucraina qui. La verità è che voi della Nato state approfittando di questo conflitto per espandervi nell’Artico e dominarlo…Non riconosceremo mai un Consiglio Artico senza la Russia”.

“Dopo l’Ucraina è cambiato tutto. Ora la questione non è se ci sarà un conflitto nella regione polare, ma come evitarlo. Ciò che si prepara sul tetto del mondo è un problema di sicurezza nazionale per ogni paese occidentale” spiega Angus King, senatore indipendente del Maine. Sembra rispondergli indirettamente Anton Vasiliev, ex ambasciatore russo in Islanda: “Quel che è certo è che il nuovo ordine mondiale si decide oltre il Circolo Polare. La Nato concentra le sue forze nel nord-est approfittando dell’impegno russo in Ucraina. Sanno che la nostra esistenza dipende dal Grande Nord. Per noi anche l’embargo europeo al petrolio russo è un’azione ostile della Nato”.

Sembra definitivamente tramontata l’idea, forse illusoria, di una regione polare come unica e reale zona franca del Globo (Antartide a parte), un luogo ameno dove le grandi potenze deponevano momentaneamente le asce di guerra per discutere e cooperare su navigazione tecnologia e ambiente. Il riscaldamento globale ha svegliato gli appetiti, il conflitto in Ucraina ha fatto il resto. In un mondo sempre più sovraffollato e desertificato, l’apertura di nuovi spazi colmi di risorse ha fatto convergere lì gli interessi (poco pacifici) delle grandi potenze che, proprio senza il Grande Nord non possono mandare avanti la macchina del mercato e del capitale. La conquista dell’Artico è già cominciata.

COME LA RUSSIA VEDE IL GRANDE NORD E IL RUOLO DELLA CINA

Viktor Bojarskij celebre esploratore russo è più che certo: “La nuova guerra mondiale sarà una Guerra bianca, sarà il duello finale tra America e Russia”. E aggiunge: “tutti lì a chiedersi se la Russia guarda ad ovest o ad est, se è europea o asiatica. La Russia guarda a nord! Ha sempre guardato a nord! Ancora non avevano uno Stato e già i russi puntavano alla stella polare”.

La storia della presenza russa nel Grande Nord comincia nel XI secolo con la prima spedizione che partì dal principato di Novgorod in direzione del Mar di Kara. E in questa condizione che nasce il mito dei Pomory, ex contadini che diventano esploratori artici affrontando condizioni ai limiti della sopravvivenza. Si sviluppa il culto dell’eroe che sfida la Natura, l’ignoto, le condizioni più estreme e avverse. Sono i battistrada del passaggio a Nord-est, la cosiddetta Northern Sea Route (Nsr) oggi di fondamentale importanza per l’espansione della potenza russa. Sebbene lo spirito di eroismo dei pomory costituisca ormai solo un ricordo, il Grande Nord ha ancora una valenza divina, religiosa per i russi. L’Artico come Terra Santa della Grande Russia.

Oggi l’Artico rappresenta il bancomat dei russi. Qui sono presenti risorse energetiche e minerarie fondamentali per lo sviluppo della Federazione, oggi ancora più accessibili grazie al lento, ma progressivo scioglimento dei ghiacci. Gran parte del Pil russo deriva dal suo fronte settentrionale, in primis grazie alle riserve di idrocarburi, che permettono al Cremlino di spendere il 5% del Pil in armamenti. La Russia è leader mondiale nell’export del gas naturale con 762 miliardi di metri cubi estratti ogni anno in gran parte nell’Artico. L’accademia delle Scienze di Mosca nel 2021 ha calcolato in 30 trilioni di dollari il valore complessivo delle risorse presenti nella zona artica russa. Parte di questa ricchezza dipende anche dalle ricadute economiche che comporta lo sviluppo della Nsr. La Nsr (Northern Sea Route o rotta marittima settentrionale) è la rotta marittima polare che percorre oltre 6.000 chilometri lungo l’Oceano Polare dal Mare di Barents fino allo Stretto di Bering.

Il suo sviluppo permette la fornitura delle risorse essenziali ai territori dell’estremo nord, l’esportazione di idrocarburi, beni commerciali e il miglioramento della capacità difensiva sul fronte settentrionale russo. Il presidente Vladimir Putin come fu per Pietro il Grande o Stalin, destina grande attenzione, investimenti ed armi al mondo polare. Per lui lo sviluppo della rotta artica consentirà alla Russia “di realizzare appieno il suo potenziale di esportazione”, aprendo un corridoio logistico verso il sud-est asiatico “importante per il rafforzamento della sovranità e della sicurezza del paese”. Più in generale, la Nsr ha il fondamentale compito di semplificare l’atavico problema russo e vero cruccio di chi vuole essere e si crede grande potenza: l’accesso ai mari caldi. Nonostante lo scioglimento dei ghiacci, la navigabilità completa lungo la rotta marittima settentrionale non è ancora all’ordine del giorno, soprattutto per le grandi navi container nei mesi invernali. La situazione è tuttavia in evoluzione. Se durante la guerra Fredda la rotta artica era chiusa da barriere naturali, oggi il cambiamento climatico sta modificando le carte sul tavolo e, se come affermano gli studiosi entro il 2035 l’Oceano Polare sarà completamente privo di ghiaccio nel periodo estivo, i russi preferiscono gestire la rivoluzione nell’Artico (sviluppando la Nsr) piuttosto che subirla.

Lo stesso obiettivo della Cina che con l’operazione Dragone bianco vuole diventare una potenza “quasi artica”. Il “nuovo” Artico consentirebbe alla Repubblica Popolare di ridurre notevolmente i costi di navigazione. La distanza tra Rotterdam e Yokohama in Giappone è di 11.250 miglia attraverso il Canale di Suez, contro le 7.350 miglia passando per la Nsr. Si tratta di una versione polare della Nuova Via della Seta. Oggi il commercio globale avviene per l’85% via mare e l’80% del trasporto marittimo è cinese, per un valore di 1 miliardo di dollari al giorno. Secondo il Fridtjof Nanesn Institute di Oslo, Pechino vuole trasferire entro 5 anni il 20% delle navi mercantili lungo le rotte artiche per un valore commerciale di 100 miliardi di dollari l’anno. La Cina ha investito in due importanti progetti russi per la realizzazione di impianti di liquefazione di gas naturale Yamal LNG e Arctic LNG 2.

L’attenzione cinese verso l’Artico va intesa anche nella volontà di diversificare la propria rotta commerciale. Si tratta del problema del “dilemma di Malacca”: è da questo stretto che passa gran parte del commercio cinese per poi attraversare lo stretto di Bab-al-Mandab tra la penisola arabica e il Corno d’Africa. Gli stretti sono controllati dalla potenza egemone, vale a dire gli Stati Uniti che potrebbero bloccarli in periodi di particolare frizione diplomatica o di escalation. A Pechino si ricordano bene l’incidente della porta-container Ever Given che nel 2021 si incagliò a Suez per una settimana ostruendo il commercio e comportando un danno economico di 12 miliardi di dollari. La logica impone allora di diversificare le rotte commerciali. Senza contare che la Repubblica Popolare raggiungerà 1,5 miliardi di abitanti entro il 2030 e ci sarà sempre maggior bisogno di proteine, quindi di pesce. L’Artico potrebbe allora fungere da frigorifero per Pechino.

Resta da vedere se la Cina continuerà ad investire nella rotta marittima settentrionale, subentrando alle banche occidentali che hanno smesso di collaborare economicamente con la Russia dopo il 24 febbraio. Per alcuni, se i cinesi continuano a credere nel progetto, potrebbe significare veder consegnare le chiavi dell’Artico a Pechino, uno scenario che non vorrebbero né russi né statunitensi. Secondo altri, i cinesi non sono più interessati ad investire particolarmente nell’artico russo o in nuove pipeline, poiché sanno che potranno in futuro continuare ad acquistare gas a prezzi scontati poiché non ci saranno competitor. La Russia però continua a considerare fondamentale l’appoggio di Pechino nella regione, come ha dichiarato il vice primo ministro Alexsandr Novak: “Con le nuove pressioni senza precedenti sull’economia russa da parte dei paesi occidentali, l’importanza della rotta del Mare del Nord come arteria di trasporto marittimo (…) è notevolmente aumentata. Il nostro compito è sviluppare questa arteria in maniera sistematica”. Per la Federazione la Nsr deve essere un luogo di cooperazione con la Cina.

Al Dipartimento di Stato americano sono convinti che la campagna d’Ucraina creerà un grosso buco nel budget che i russi intendono usare per svilupparsi nell’Artico. A Mosca dovranno fare delle scelte sempre più marcate su dove dirottare le risorse. La coperta è sempre troppo corta. E forse le scelte sono già volte verso una chiara direzione, come testimonia l’inizio della cosiddetta “operazione Vostok” iniziata nel luglio del 2022, quando Rosneft, compagnia energetica russa, sorprendendo Usa, Cina e Ue ha annunciato lavori per lo sfruttamento di un giacimento di petrolio e gas, ritenuto molto redditizio dagli stessi americani, appunto a Vostok, nella penisola di Tajmyr in Siberia centrale. Un progetto che non avrà precedenti in tutto l’Artico, il più grande di sviluppo industriale in Russia. Rosneft intende trasportare lungo la Nsr 30 milioni di tonnellate di Brent all’anno ed entro il 2030 arrivare a 100 milioni. La volontà imperiale è più forte della capacità economica come ricorda Rebekah Koffler nata nell’allora Urss e da anni parte dell’intelligence americana come esperta di Putin: “Da almeno cinque anni la sua priorità è l’Artico e nulla gli impedirà di finanziarlo. A Washington (…) ragionano ancora sul Pil della Russia (…). Minimizzano il pericolo militare pensando alla fragilità economica russa. Non sanno che sono due cose diverse, mele e pere. Se il Pil di Putin è quello della Spagna non significa che Putin non invade l’Ucraina e non investe in altri trenta rompighiaccio nucleari”.

Nel “bastione di Putin” – la cosiddetta fortezza russa nella penisola di Kola, tra il Mar di Barents e il Mar Bianco – sono schierate tra le duemila e le tremila testate nucleari a meno di duecento chilometri dal confine con Norvegia e Finlandia e quindi con la Nato. Sono parcheggiati anche i sommergibili nucleari e gli hangar di stoccaggio dei missili atomici. Il continente nord-americano è ad un tiro di razzo. In questo angolo del mondo la popolazione si sente protetta, ma allo stesso tempo costantemente minacciata.

C’è un episodio che forse più di altri certifica il nuovo approccio russo al grande Nord. La visita di Putin nel 2017 nella Terra di Francesco Giuseppe, a nord-est delle Svalbard, per inaugurare la base Trifoglio Artico, un immenso complesso utile per prepararsi alla Guerra bianca. Il suo discorso era un chiaro manifesto del cambio di paradigma: “Con certezza possiamo affermare che il nostro potere e le nostre opportunità cresceranno con l’espansione russa nell’Artico. Da questa regione dipende il futuro della Russia. Dobbiamo contrastare le minacce della Nato alle nostre porte, siamo qui per proteggere i nostri confini e la nostra ricchezza (…). Siamo qui per affermare la sovranità russa su questo mare”.

L’interesse e la conoscenza di Putin per l’Artico fonda le sue radici nel passato. Nel 1996, il futuro presidente della Federazione discuteva la sua tesi di dottorato all’Università mineraria di San Pietroburgo sulla “strategia di sviluppo dell’economia russa attraverso lo sfruttamento delle materie prime nel Grande Nord” con l’obiettivo di “servire gli interessi geopolitici e mantenere la sicurezza nazionale della Russia”.

L’Artico è l’assicurazione sulla vita dei russi. E se una volta fungeva da scudo, da protezione sul fronte settentrionale, oggi è una distesa blu da conquistare, difendere e sfruttare.

IL CONFRONTO RUSSIA-NATO

I due principali protagonisti di questa storia, Stati Uniti e Russia, si incontrano e quasi si toccano all’estremo nord, dove solo lo Stretto di Bering separa l’Alaska dal circondario della Cukotka, regione governata dal 2000 al 2008 dall’oligarca russo Abramovic che qui ha fatto fortuna e ha contribuito allo sviluppo, richiesto dal Cremlino, di una regione zeppa di risorse minerarie. A Pevek, nella città più settentrionale della Federazione, è stato sviluppato uno dei porti più importanti dei tutta la rotta artica. Da qui partirà sempre di più quel gnl (gas naturale liquefatto) che proviene dalla penisola di Jamal e che verrà riversato in Asia (Cina e India principalmente) e non più in Europa dopo la guerra del gas dell’Ue scaturita con l’invasione dell’Ucraina. La stessa Cina sta investendo tanto negli impianti di gnl russi.

Come già anticipato lo sviluppo totale della Nsr è un obiettivo dichiarato da Mosca, ma pesano alcune incognite dovute alla guerra in Ucraina: i tempi, i partner e il budget. Il vice primo ministro Yuri Trutnev ha posto il 2024 come ambizioso obiettivo di navigazione per tutto l’anno lungo la Nsr. Parole in seguito confermate da una dichiarazione particolarmente realista del CEO di Rosatom Alexei Likhachev: “Insieme a Novatek, abbiamo in programma di lanciare la navigazione tutto l’anno nella parte orientale della NSR all’inizio del prossimo anno. Questa è una decisione davvero storica, importante per lo sviluppo dell’intero Artico e di particolare importanza, ovviamente, per l’economia del nostro Paese”.

Per farlo sarà necessario un imponente sviluppo della rotta con la costruzione di ulteriori rompighiaccio, satelliti ferrovie, porti, aeroporti, basi di emergenza e tanto altro. Vi è ancora difficoltà, inoltre a farvi transitare le grandi navi portacontainer che dominano il commercio globale e che, per via del ghiaccio, preferiscono navigare attraverso il Canale di Suez (dove il volume di traffico rispetto alla Nsr è ancora superiore del 3%) e lo Stretto di Panama. Lo scorso autunno la Compagnia di Stato Cinese COSCO ha deciso per la prima volta dopo anni di non impiegare più navi lungo la Nsr, segnale che la Repubblica Popolare al momento continua a prediligere le rotte meridionali e considera la Nsr una piano B da tenere pronto. Se questo approccio dovesse continuare, la Nsr diventerebbe sempre di più una rotta a navigazione quasi esclusivamente russa. Tanto che la rotta marittima settentrionale non può essere percorsa da navi straniere se prima non hanno chiesto un’autorizzazione alle autorità della Federazione con almeno 90 giorni di anticipo. L’ostacolo principale secondo i russi è l’Occidente, come sostiene il celebre esploratore Artur Cilingarov, decorato eroe dell’Urss e della Federazione russa: “(…) La Nsr è un vantaggio per il mondo intero. Il maggior ostacolo allo sviluppo di questo corridoio di trasporto internazionale, nonché alla stessa cooperazione artici, è la politica antirussa perseguita dall’attuale leadership degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, soprattutto dai paesi del Nord. La Nsr è nel mirino della Nato, sanno che serve ad assicurare la capacità difensiva dei nostri territori artici e delle nostre ricchezze energetiche (…)”.

Clingarov sostiene che “senza l’Artico la Russia non sarebbe la Russia. Per questo, se qualcuno pensa d’impedire alla Russia d’essere sé stessa, il conflitto si sposterà nell’Artico”. Nel 2007 è diventato il primo uomo nella Storia a toccare il fondale del Polo Nord, piantando una bandiera russa in titanio. Mosca, a parte gli atti simbolici, vuole davvero il riconoscimento del Polo. In merito, ha presentato un ricorso alla Nazioni Unite dove sostiene che attraverso la dorsale sottomarina Lomonosov, il Polo sia collegato alla piattaforma continentale russa come richiede la Convenzione Onu sul diritto del mare. Se tale ricorso venisse accolto, la Russia allargherebbe lo sfruttamento esclusivo delle risorse ben oltre le 200 miglia nautiche delle Zone Economiche Esclusive usufruendo del concetto di Piattaforma Continentale ed arriverebbe fino a 650 chilometri: un’area pari a Francia e Spagna messe assieme. Avrebbe accesso all’80% delle riserve di idrocarburi presenti sui fondali del Polo. Lo scorso febbraio la Commission on the Limits of the Continental Shelf, un’istituzione formata da esperti indipendenti che opera per conto delle Nazioni Unite, ha approvato gran parte delle rivendicazioni russe su un’area di mare di circa 2 milioni di chilometri quadrati. Sono delle raccomandazioni che non hanno tuttavia carattere vincolante. All’Onu si agisce spesso ognuno secondo i propri interessi e dunque anche Canada e Danimarca (attraverso la Groenlandia) hanno presentato i propri dossier. Non gli Stati Uniti in quanto unica nazione al mondo a non aver ratificato il Trattato Onu. Difficile pensare che possa cambiare qualcosa in un senso o nell’altro nel breve periodo, nonostante la speranza russa generata dall’ultimo risultato prodotto dalla commissione. Certo è che l’Artico è una priorità per la Federazione.

Lo scorso luglio, in pieno conflitto, Putin a San Pietroburgo ha aggiornato la dottrina navale russa: il primo obiettivo è impedire agli Stati Uniti il dominio dei mari e in particolare “la loro volontà di ostacolare i nostri interessi nell’Artico”. Ha inoltre annunciato un ulteriore potenziamento della Flotta del Nord nella penisola di Kola, oltre alla Flotta del Pacifico. Per la prima volta ha dichiarato l’Artico “area di responsabilità primaria” per la flotta russa (dietro il Pacifico e poi l’Atlantico), sancendo di fatto la superiorità del diritto marittimo nazionale rispetto a quello internazionale e legittimando così la nazionalizzazione del Polo Nord e della Nsr.

La capacità militare e quindi di deterrenza che la Federazione manifesta qui nel Grande Nord, può consentirle di aumentare il suo peso nella regione, tenendo tuttavia sempre presente che per raggiungere il Nord-Atlantico bisogna attraversare le rotte controllate da Washington e clientes (Groenlandia, Islanda e Regno Unito) e per arrivare al Pacifico è necessario transitare dinnanzi all’Alaska, con gli Stati Uniti al momento poliziotto buono, ma in futuro chissà.

La Russia continua ad effettuare manovre militari nell’Artico, come a voler mostrare a Washington che la guerra in Ucraina non impegna tutte le sue energie. Sono missioni nei luoghi più inospitali della Terra, dove servono professionisti addestrati a condurre la Guerra bianca in condizioni ai limiti dell’umano. Nei giorni della controffensiva di Kharkiv in Ucraina della scorsa estate, nelle acque ghiacciate del mar dei Ciukci davanti alle coste dell’Alaska, si tenevano esercitazioni di sottomarini con lancio di missili cruise. Nello stesso periodo in Cukotka, si svolgevano manovre campali con 50mila uomini. Una vera e propria esibizione di muscoli nei confronti di Washington, visto ciò che stava accadendo a nord del Mar Nero.

La Nato non resta a guardare. Durante la primavera del 2022 c’è stata Cold Response, la più grande manovra dell’Alleanza Atlantica oltre il Circolo Polare dagli anni ottanta. Si è svolta nel nord della Norvegia e sono stati schierati 35mila uomini provenienti da 27 paesi, inclusi Finlandia e Svezia. Anche in questo caso il messaggio, non troppo velato, aveva lo scopo di mostrare ai russi come la Nato non avesse timore di sbilanciarsi militarmente a nord-est alle porte della Federazione, negli stessi giorni in cui si discuteva l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia e quindi di ulteriori 1300 chilometri di confine con i russi.

L’Artico come territorio di cooperazione scientifica e sviluppo tecnologico è ormai solo un ricordo. Lì, dove il “grande freddo” è sempre più politico e meno climatico. Sperando che nella zona più militarizzata del Globo, dove si toccano gli imperi, non si arrivi al conflitto caldo.

FONTI:

– “Guerra Bianca. Sul fronte artico del conflitto mondiale” – Marzio G. Mian. 2022 Neri Pozza Editore.

– “Alaska. Il non artico americano” – Limes 05/02/2019

– “Con una nuova dottrina navale, la Russia recinta il suo Artico” – Limes 03/08/2022

– “Ambasciator (americano) non porta Artico” – Limes 06/09/2022

– “Mosca scommete sui nuovi terminal petroliferi nell’Artico” – Osservatorio Artico 06/02/2023

– “ Dubbi e sanzioni, la Northern Sea Route cambia rotta” – Osservatorio Artico 15/09/2022

– “ La Russia tenta esportazioni di greggio verso l’Asia attraverso la NSR” – Osservatorio Artico 09/12/2022

– “ Rotta artica ed energia al centro dell’agenda di Putin con la Cina di Xi” – Osservatorio Artico 21/04/2023

– “ L’Alaska investe 5 miliardi nel progetto anti-russo” – Osservatorio Artico 09/03/2023

– “La Russia apre la rotta di Nord Est per tutto l’anno” – Osservatorio Artico 29/05/2023

– “La Commissione ONU accoglie le rivendicazioni russe sul Mar Glaciale Artico” – Osservatorio Artico 06/04/2023

IMMAGINI

– Copertina, soldati russi nell’Artico – www.mil.ru

– “A che serve l’Artico” – Limes 2019

– “Le rotte artiche” – di Luca Mazzali nel libro “Guerra Bianca” di Marzio G. Mian. 2022 Neri Pozza Editore.

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