Le armi americane: tra l’Ucraina e il Congresso
Nel momento in cui la guerra in Ucraina continua ad imperversare, negli Stati Uniti la discussione sembra girare attorno alle armi: quelle in Ucraina ma anche quelle nelle scuole.
Se da un lato, l’allarmismo dei paesi NATO dell’Europa orientale ha permesso l’invio di armi da parte di Washington per sostenere l’esercito ucraino, dall’altro la sentenza della Corte Suprema e la legge bipartisan hanno riportato le armi al centro del dibattito statunitense.
Da Tallin a Tirana
Alla notizia della concessione all’Ucraina dello status di paese candidato all’ammissione nell’Unione Europea, ha seguito quella dell’invio di nuove armi da parte degli Stati Uniti. Il mondo occidentale sembra quindi voler dare un appoggio completo, sia diplomatico che politico e militare agli ucraini. Mentre alla decisione finale del Consiglio Europeo Zelensky ha risposto definendo questa decisione, “una delle decisioni più importanti per l’Ucraina dalla sua indipendenza”, al continuo invio di armi da oltreoceano ha risposto il ministro della difesa ucraino Oleksii Reznikov, che ha ringraziato il suo “amico americano segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III per questi potenti strumenti! L’estate sarà calda per gli occupanti russi. E l’ultima per alcuni di loro”.
Dopo l’arrivo dei lanciarazzi ai cui si riferisce il ministro Reznikov, la CNN riporta di un ulteriore invio di armi, con lo stanziamento di 450 milioni di dollari in aiuti militari.
A questo supporto, ha fatto seguito una richiesta piuttosto esplicita da parte dei paesi NATO dell’Europa orientale, che chiedono a gran voce un miglioramento dei piani di reazione ad una possibile invasione russa. In particolare, si tratta di tre paesi la Macedonia, l’Albania e l’Estonia.
Per quanto riguarda le prime due, l’obiettivo principale è quello di entrare a far parte definitivamente dell’Unione Europea, tale risultato permetterebbe infatti di completare il progresso di integrazione all’interno del mondo occidentale, dopo l’ingresso nella NATO. L’attuale situazione ucraina ha ridato fiato a questi due paesi, “vittime” di un veto da parte della Bulgaria che vorrebbe impedire il loro accesso nell’Unione a causa di alcune dispute identitarie (in particolare con i macedoni). È stato lo stesso premier albanese Edi Rama a protestare verso questo immobilismo, dichiarando: “È una vergogna che un paese NATO, la Bulgaria, prende in ostaggio altri due paesi NATO, la Nord Macedonia e l’Albania, nel pieno di una guerra nel nostro cortile di casa e che altri 26 paesi restano fermi e impotenti”.
Dall’altra parte l’Estonia ha provato ad avvertire la NATO che “con gli attuali piani, se la Russia attaccasse, Tallinn sarebbe cancellata”, questo ammonimento viene direttamente dalla premier estone Kaja Kallas, che si riferisce ai piani NATO per la difesa dei tre stati baltici (Estonia, Lituania e Lettonia). Questo allarme arriva proprio alla vigilia del vertice NATO che si terrà martedì 28 giugno a Madrid. La Kallas conosce bene la situazione che i suoi connazionali hanno vissuto sotto la dominazione russa, perché fu proprio sua madre ad essere deportata in Siberia, lo scorso 7 giugno la premier ha infatti dichiarato: “È stato un miracolo che la mia famiglia sia sopravvissuta, ma molti no. Mentre gli estoni venivano deportati, i russi occupavano l’Estonia, cercando di cancellare la nostra cultura e lingua. Nel 1922 la minoranza russa ammontava al 3,2% della nostra popolazione, alla fine dell’occupazione sovietica la popolazione russa era aumentata a oltre il 30%. Ora stiamo assistendo a ciò che si ripete in Ucraina nei territori occupati dalla Russia: bambini deportati in massa in Russia, donne violentate, uomini imprigionati. Le immagini di Irpin e Bucha hanno portato alla ribalta globale la brutalità e l’imponenza dei crimini di guerra russi contro i civili.”
Tale allarmismo da parte dell’Estonia deriva anche dal fatto che la settimana scorsa, il 18 giugno, l’esercito ha rilevato la presenza di un elicottero militare russo nello spazio aereo estone, questo episodio è stato definito “grave e deplorevole” dal ministro degli esteri di Tallinn.
Tra legge e sentenze
È doveroso anche un riferimento al dibattito interno, riguardo le armi.
Ha destato forte scalpore e rabbia, soprattutto tra i democratici, la decisione della Corte Suprema di annullare le limitazioni di New York sul porto d’armi. In particolare, era previsto un obbligo di licenza speciale per portarle nei luoghi pubblici, tale licenza ovviamente richiedeva che venisse dimostrata l’utilità dell’arma, confermata da un “giustificato motivo”. Una normativa del genere è presente anche in altri stati come Rhodes Island, California e New Jersey, ma è stata considerata una violazione del II emendamento alla costituzione. Sia Eric Adams (sindaco di New York) che Kathy Hochul (governatrice dello Stato) si sono detti contrari alla decisione della Corte, in particolare la Hochul l’ha definita “vergognosa”. Se però per i democratici, la scelta della Corte Suprema “metterà i newyorkesi a rischio di ulteriore violenza da armi da fuoco”, non è dello stesso avviso la National Rifle Association (NRA) che rivendica questa decisione come una sua vittoria.
Sulla questione si sono accesi i riflettori già da diversi mesi, ed in particolare da quando democratici e repubblicani stanno lavorando ad una proposta di legge bipartisan sul tema. La proposta, approvata dal Senato e che sarà votata a breve anche alla Camera, sembra accontentare entrambe le parti, anche se è distante dalla radicalità che aveva chiesto Biden. Se da un lato i democratici la definiscono “la prima legge significativa sulle armi da trent’anni (riferendosi all’amministrazione Clinton)”, dall’altra i repubblicani pensano che questa legge sia stata in grado di salvaguardare sia la vita che la libertà degli americani, perché “non contiene nuove restrizioni, nuovi periodi di attesa, obblighi e divieti di alcun tipo per i possessori di armi rispettosi della legge”.