Alcune note a margine della visita di Xi a Mosca
A poco più di un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, il leader cinese Xi Jinping – all’avvio dell’inedito terzo mandato – si è recato in visita ufficiale a Mosca, dove ha incontrato il «dear friend» Vladimir Putin.
Come ricordato da Graham Allison in un articolo per Foreign Policy, il presidente russo è stato il primo capo di stato incontrato da Xi durante il suo primo mandato (iniziato nel 2012). Da allora, egli avrebbe incontrato il suo «best, most intimate friend» in almeno 40 incontri bilaterali, il doppio rispetto a qualsiasi altro leader mondiale.
Come spesso accade quando si cerca di esaminare sviluppi riguardanti la Cina, non è raro imbattersi in ricostruzioni anche molto divergenti: si è cercato, quindi, di presentare alcune analisi di diverse testate internazionali, confrontandole con la voce delle parti in causa.
Alleanza sì, alleanza no?
Il già citato Allison, «professor of government at the Harvard Kennedy School», afferma nel suo articolo come «Xi and Putin have the most consequential undeclared alliance in the world»; se non a parole, dunque, questa consonanza sino-russa costituirebbe ai suoi occhi un’alleanza de facto. Molti, diversamente, come è stato rilevato in un precedente contributo su questo sito, rifiutano questa definizione per la «strategic bromance».
Stando al professore, infatti, la Cina – fatta eccezione per le «lethal arms», oggetto di sanzioni – avrebbe sostanzialmente fornito alla Russia ogni altro aiuto possibile, conducendo peraltro esercitazioni militari congiunte su scala assai superiore a quelle, per esempio, condotte tra Usa e India.
Allo stesso tempo, poi, viene evidenziato come le due potenze facciano spesso mostra di forte sintonia in sede diplomatica – votando quasi sempre allo stesso modo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – e rafforzino vicendevolmente le proprie narrazioni politiche. È noto, infatti, come in Cina si eviti di parlare di “guerra” a proposito del contesto ucraino, utilizzando piuttosto espressioni come “questione” o “crisi”.
Guerra o pace?
Nella cornice dell’incontro, il presidente russo ha affermato che il “piano di pace” proposto dalla Cina potrebbe costituire un punto di partenza per la cessazione delle ostilità: a questa cauta apertura, non sorprendentemente, ha fatto seguito una dichiarazione del Segretario di Stato statunitense Antony Blinken, il quale ha respinto la possibilità di un cessate il fuoco prima del ritiro delle forze russe dal territorio ucraino, sostenendo che diversamente un simile sviluppo «would effectively be supporting the ratification of Russian conquest».
Stando a un articolo della BBC, il presidente cinese «said his government was in favour of peace and dialogue and that China was on the “right side of history”», posizionandosi quindi in maniera imparziale e facendosi promotrice di un processo di pace. Se l’Occidente reagisce con scetticismo a simili rivendicazioni, esse ricevono maggiore consenso nel “global south” – i paesi “non-allineati”, che Philipp Ivanov definisce «agnostic about the Russia-Ukraine conflict but wary of its impacts on their economies» – e soprattutto nel fronte interno cinese: nelle parole del Guardian, «the official narrative in China is that the US responds to problems militarily, while China uses dialogue», come testimoniato dalla recente mediazione tra Iran e Arabia Saudita.
Per quanto riguarda il versante economico, stando ai media russi all’interno del meeting è emersa la volontà di rafforzare la cooperazione tra i due stati. Una declinazione di questo intento sarà la costruzione di un gasdotto collegante la Siberia e la Cina attraverso la Mongolia, attraverso il quale la Russia potrà fornire al partner quelle risorse non più destinate ai paesi europei: già nel 2022 – nota Allison – gli acquisti in campo energetico da parte della Cina erano cresciuti del 50% rispetto all’anno precedente.
Un altro aspetto di grande interesse relativo all’incontro è quello del “non detto”, ovvero la gestualità dei due leader, analizzata da Ian Williams in un articolo per The Spectator: a suo dire, infatti, i pochi momenti fuori copione di questo «highly choregraphed summit» sarebbero funzionali a cogliere certe dinamiche del “rapporto di coppia”. Se Xi viene descritto come «almost nonchalant, barely trying to conceal an air of superiority», il presidente russo ricopre per Williams il ruolo del «supplicant», apparendo «anxious and edgy».
E Zelensky?
Che dire, infine, del “grande assente”, il presidente ucraino Zelensky? Secondo la BBC egli avrebbe certamente cercato di interfacciarsi con la Cina per tentare quantomeno di sondare il terreno: ad oggi non risulta che siano giunte risposte ufficiali, per quanto il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba – stando all’Ansa – abbia affermato che la Cina starebbe «“valutando attentamente” l’invito rivolto dal presidente Volodymyr Zelensky al presidente Xi Jinping a visitare Kiev, o almeno ad avere una conversazione telefonica diretta».
Un altro leader asiatico, nondimeno, ha raggiunto la capitale ucraina proprio mentre l’omologo cinese incontrava Putin: il premier giapponese Fumio Kishida. Questa visita simultanea, secondo Gideon Rachman, autore di un articolo per Financial Times, «underlines the global significance of the Ukraine war», suscitando così l’intervento dei «fierce rivals» asiatici. Secondo lo stesso autore, poi, – osservazione molto interessante – «Xi and Putin’s tendency to see the US as the puppet master behind everything may be blinding them to the way in which their actions have alarmed the democracies of Europe and Asia».
Per concludere, si riprende quanto affermato da Ivanov per Foreign Policy: per la Russia, la sempre maggiore dipendenza dalla Cina è una scelta forzata; per la Cina, invece, si tratta di un’opportunità per espandere la sua quota di mercato, garantire il fondamentale approvvigionamento energetico e «entrench Russia as its strategic backyard», mentre parallelamente osserva con attenzione e impara dalla condotta russa nella guerra e dalle risposte di un Occidente, ormai, da essa sempre più lontano.