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Geopolitica e sicurezza energetica: la strategia di Ankara

Le dispute per le acque territoriali del Mediterraneo orientale nell’estate 2019 probabilmente costituiscono il più nitido e immediato nesso tra le parole “Turchia” e “sicurezza energetica”. In effetti, se esiste un paese che più di tutti dipende dall’import di risorse quali gas e petrolio, è proprio quello della Mezzaluna. Tuttavia, non tutto si riduce a questo: le rivendicazioni delle Zone economiche esclusive (ZEE) limitrofe alle acque di Cipro Nord, contese con la Grecia, sono solo la punta dell’iceberg di un tema, quello della sicurezza degli approvvigionamenti energetici, determinante per Ankara e per il suo allineamento geopolitico futuro.

Il “fabbisogno energetico” della Turchia

La Turchia va a idrocarburi, su questo non ci piove. Oltre l’80% del fabbisogno energetico proviene infatti da carbone petrolio e gas, più o meno equamente distribuiti. Menzione d’onore per il settore delle rinnovabili, che ha visto la propria capacità di generare corrente raddoppiare negli ultimi dieci anni – a dimostrazione della volontà dell’AKP di svincolarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili.

Parco eolico on-shore sull’isola di Bozcada, nell’Egeo orientale [WikiMedia Commons]

Combustibili fossili che, per l’appunto, vengono importati nella stragrande maggioranza. Come riportato dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA – Turkey Energy Policy Review 2021), sono importati oltre il 99% del gas naturale e circa il 93% del greggio, mentre un discorso a parte va fatto per il carbone, la cui produzione domestica è aumentata considerevolmente nell’ultimo quinquennio – in barba all’inerzia globale per la decarbonizzazione e il “coal phase-out”.

Non stupisce che sia la Russia il maggior fornitore di petrolio e gas: la percentuale di quest’ultimo sul totale dell’import turco però è scesa, da oltre il 50% del periodo 2011-2017 fino al 33% del 2020, segnalando il parziale successo di Erdogan nel ridurre la dipendenza dall’amico-nemico Putin – almeno per quanto riguarda l’energia.  

La Turchia tra Oriente e Occidente

Nonostante i rapporti sempre più tesi con l’Unione Europea, Ankara rimane ancorata all’Occidente dal punto di vista politico e soprattutto economico. Se l’appartenenza a organizzazioni internazionali come NATO e OECD può non apparire più così significativa, i numeri parlano chiaro: l’Europa rappresenta di gran lunga il maggior partner commerciale della Turchia. Nel 2020, 33% dell’import turco proveniva dall’UE, dove era anche destinato il 41% dell’export – volumi ben superiori rispetto a quelli del commercio con Russia e Cina.

L’asse Mosca-Pechino, tuttavia, a partire da dopo la crisi finanziaria del 2008, ha rappresentato un riferimento sempre più accattivante per la leadership turca. I modelli russo e cinese sono infatti percepiti come la dimostrazione che anche in un regime politicamente illiberale, contraddistinto da un mix tra capitalismo ed economia pianificata, è possibile assicurare crescita e sviluppo. L’Europa della crisi della Moneta Unica, dell’austerità, del dramma dei migranti e del sorgere dei populismi, d’altro canto, non ha più avuto lo stesso appeal dei primi anni Duemila.

Geopolitica, sicurezza e transizione energetica: da che parte va la Turchia?

Le politiche energetiche della Turchia – volte ad assicurare energia per soddisfare un crescente fabbisogno determinato da boom demografico ed economico – hanno il potenziale per influenzare la traiettoria geopolitica del paese.

Da un lato, esistono ampi spazi per la cooperazione tra Ankara e Bruxelles in ambito energetico. Entrambe hanno interesse reciproco ad approfondire la collaborazione nel mercato del gas, almeno nel breve- medio-periodo. Mentre la continuità della domanda europea sarà fondamentale affinché la Turchia, grazie alla propria posizione geografica (tra Medio Oriente, Caucaso ed Europa) riesca ad affermarsi come gas hub regionale, l’Europa stessa ha un incentivo a diversificare le importazioni di gas naturale, affidandosi a fonti mediorientali pur di ridurre la dipendenza da Mosca – nonché il rischio di altre crisi dell’offerta come quella affrontata quest’inverno.

Segnalazione del gasdotto Tbilisi-Baku-Ceyhan [WikiMedia Commons]

Anche le rinnovabili, in forte espansione nel paese della Mezzaluna, sembrano attrarre l’interesse di Bruxelles. L’UE ha già finanziato, anche tramite EBRD e EIB, svariati progetti per accrescere la capacità di generazione dell’energia da fonti “pulite”. Con un’inerzia verso la transizione energetica mai vista prima, la ripresa post-pandemia potrebbe essere l’occasione giusta per riallacciare i rapporti, non solo in ambito energetico.

D’altro canto, la crescente assertività nel Mediterraneo orientale per assicurarsi i giacimenti di gas offshore è solo una delle criticità del rapporto tra Ankara e Bruxelles in fatto di energia. La ripresa – e l’aumento – della produzione domestica di carbone, unico idrocarburo estraibile dal suolo turco, è un chiaro atto di disinteresse nei confronti dei vicini europei, impegnati ad eliminarne l’utilizzo prima della metà del secolo.

Per quanto riguarda il nucleare, su cui Ankara ha deciso di scommettere, è stato fatto affidamento sulla Russia prima, e sulla Cina poi, per la realizzazione dei nuovi reattori a fissione (ad oggi ve ne sono 4 in fase di costruzione e altri 6 in fase di progettazione). Tra il 2010 e il 2017 sono state approvate dodici leggi ad hoc per facilitare l’ingresso degli investimenti cinesi in settori chiave dell’economia, tra cui quello energetico.

La corsa alla sicurezza energetica della Turchia è al contempo influenzata da, e determinante per, la traiettoria geopolitica del paese. Ankara sta mantenendo viva una partnership, quella con Bruxelles, che tuttavia non sembra poter decollare nel breve periodo. Ciò gioca a favore di un ulteriore avvicinamento con l’asse Mosca-Pechino, con cui vengono spesso condivise una comunità di interessi, una certa complementarità a livello economico, e un’affinità nelle vedute politiche.

La politica dell’energia non è certo l’unico fattore in gioco, ma considerate le priorità di Erdogan, ovvero sicurezza prima di sostenibilità, sembra che la Mezzaluna abbia più interesse a seguire Xi e Putin piuttosto che von der Leyen. In questo scenario, la palla passa all’UE: lasciar andare o provare a ricucire lo strappo? Margine per la seconda opzione pare essercene.

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