In Ossezia del Sud è stato indetto per il 17 luglio un referendum che, nell’attuale quadro storico e geopolitico, non solo diventa un ulteriore simbolo della fame imperialistica russa, ma anche un importante evento cardine per gli eventi che hanno destabilizzato la Georgia dal 2003 in poi.
Oggetto del quesito popolare sarà la formalizzazione dell’occupazione russa che esiste di fatto dal 2008, ma che ora, proprio come avvenne per la Crimea nel 2014, cercherà il riconoscimento popolare per legittimare la propria annessione alla Federazione Russa. Naturalmente è rapidamente giunta la risposta del governo di Tbilisi, pronto nel ribadire l’assenza di valore legale in un referendum autoproclamato da separatisti filo-russi annuncianti un “ritorno a casa”.
Probabilmente è stata l’attenzione verso la questione ucraina a dare fiducia ai separatisti caucasici nel formalizzare senza paure queste formalizzazioni.
Le radici
A partire dalla rivoluzione delle rose, la Georgia ha preoccupato la Russia di Putin e le sue linee rosse, emergendo come prima minaccia agli orizzonti esterni post-sovietici del Cremlino. Dopo essere riuscito a sostituire il presidente filo-russo, il Movimento Nazionale georgiano ha portato alla vittoria presidenziale del proprio leader pro-occidentale Saak’ashvili, che ha presto dovuto far fronte a nuove tensioni nel paese. Il peggio era destinato ad arrivare nel 2008, appunto in Ossezia del Sud, quando la crisi si evolse in conflitto. La rapida escalation militare iniziò e si concluse in cinque giorni, culminando in un esito simile all’attuale invasione del Donbass. Così da allora i separatisti vengono difesi dalle forze militari russe, e la sovranità di Tbilisi viene privata di una sua regione importante, riconosciuta indipendente assieme all’Abkhazia. Questa occupazione naturalmente perdura al giorno d’oggi ed è il seme del referendum del prossimo luglio, destinato a provocare reazioni non così dissimili a quelle dello scenario ucraino.
L’ambiguità al governo
L’evidente fragilità diplomatica e il timore di subire ritorsioni militari all’indomani del referendum, lasciano presagire una rapida accelerazione per la richiesta di adesione della Georgia all’Unione Europea, già emersa sorprendentemente, dopo dichiarazioni opposte di pochi giorni prima, il giorno dopo la presentazione della richiesta di adesione ucraina. Inoltre, la Georgia si è inizialmente opposta alle sanzioni internazionali mosse verso la Russia, giustificandosi invocando la necessità di salvaguardare la propria popolazione dagli eventuali danni collaterali. Per questo motivo, decine di migliaia di persone hanno preso parte a manifestazioni anche nella capitale per dimostrare la propria solidarietà all’Ucraina e chiedendo le dimissioni del primo ministro Garibashvili. Quest’ultimo infatti sta rappresentando la fazione apparentemente più peritoso del partito “Sogno Georgiano” alla guida del Paese, poi superato diplomaticamente soprattutto dalla Presidente della Repubblica Zourabichvili, che ha promosso sostegno a Kyiv e appoggio alle misure sanzionatorie verso Mosca anche attraverso visite diplomatiche. Questa ambiguità sta incrinando le relazione fra le due cariche, spingendo il governo anche al ricorso costituzionale per incompetenza in ambito di politica estera
Le ambizioni di Putin fanno riemergere ricordi amari per la popolazione georgiana, inequivocabilmente permeata da sentimenti anti-russi giustificati dalle plurime invasioni di sovranità. È fortemente improbabile che la Georgia, come la Moldova per le preoccupazioni in Transnistria, riusciranno ad entrare nel breve termine nell’Unione Europea, ma i timori di essere lasciati soli come nel 2008, stavolta davanti a riflettori internazionali vista l’attenzione su ogni mossa di Putin, evidenziano ogni richiesta di aiuto solidale per eventuali aggressioni.