Da giovedì 7 a martedì 12 luglio, tra l’ottavo e il dodicesimo giorno del Dhū l-Ḥijja, il dodicesimo mese del calendario islamico, ha luogo a La Mecca, in Arabia Saudita, il primo pellegrinaggio praticamente privo di restrizioni numeriche dall’inizio della pandemia da COVID-19.
I pilastri dell’Islam
La religione islamica si basa sostanzialmente su cinque pilastri fondamentali (arkān al-dīn) : con la prima testimonianza di fede (shahādah) si afferma di credere in un unico Dio, Allah, e si professa totale fiducia al suo messaggero, Maometto. A condurre al secondo e al terzo pilastro è la necessità della purificazione. Le cinque preghiere giornaliere (ṣalāt) vengono di norma effettuate all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e di notte, ma il fedele può aggiungerne quante ne desidera in qualsiasi momento della giornata. Il terzo fondamento è invece costituito dall’elemosina legale, chiamata zakāt, tramite la quale ogni credente in possesso delle proprie facoltà mentali è tenuto a privarsi dei suoi beni materiali superflui rimettendoli in circolo, soprattutto sotto forma di denaro, all’interno delle categorie sociali più svantaggiate.
È attraverso questa tendenza al sacrificio che si arriva a comprendere anche la necessità di praticare il ṣawm, il digiuno canonico, per tutti e trenta i giorni del mese di Ramadan dal momento in cui il sole sorge al momento in cui cala. Il digiuno è intrinsecamente collegato alla zakāt ed è finalizzato alla comprensione dell’esperienza della sofferenza, come anche della povertà. Anche questa è una dimostrazione di fede richiesta soltanto agli individui che non stiano già provando altre sofferenze fisiche, vi sono infatti una serie di categorie che non sono tenute a farla.
L’Hajj è il quinto e ultimo pilastro dell’Islam, la parola si può intendere come scopo, obiettivo. Ogni musulmano praticante è tenuto a compiere, almeno una volta nella vita e nel caso in cui nessuna causa di forza maggiore glielo impedisca, un pellegrinaggio alla Sacra Moschea, Al-Masjid al-Ḥarām, nella città de La Mecca. Al centro di questo enorme edificio, considerato dagli islamici il più sacro del pianeta, è contenuta l’antica costruzione a forma di cubo nero conosciuta come la Casa di Dio, la Kaʿba, al cui interno è a sua volta contenuta la Pietra Nera. La Kaʿba è solitamente ricoperta da un tessuto di broccato di seta nera intessuto da lamine d’oro e argento che riportano versi del Corano, questo viene sostituito da un telo bianco in occasione del pellegrinaggio.
Sul significato della Pietra Nera si potrebbero citare diverse versioni, più o meno razionali, più o meno mitologiche. È in direzione di questo oggetto, in ogni caso, che i credenti si rivolgono per pregare ed è al fine di osservarlo con i propri occhi, in quanto traccia dell’esistenza di Dio, che i pellegrini si dirigono nella città santa.
Come funziona l’Hajj
Poiché l’Hajj è dettato dal calendario lunare, che è più breve del calendario gregoriano, non si verifica ogni anno nella stessa stagione: esso si svolge nel suo ultimo mese del e può variare da luglio a settembre.
I pellegrini, prima di cominciare i riti del pellegrinaggio a La Mecca, devono entrare in uno stato di “purezza rituale” chiamato iḥrām. Per farlo è richiesto loro di lavarsi spesso, senza però l’utilizzo di profumi, e di accorciarsi i peli corporei. Solo cominciando con l’abluzione del corpo (ghusl) si potrà poi raggiungere la “purezza del corpo e del pensiero”.
Come segno esteriore di questa condizione i pellegrini devono tutti vestirsi di panni bianchi, simbolo appunto di purezza ma anche di equità. Gli uomini indossano tradizionalmente un vestito a due pezzi, il primo dei quali li copre dalla vita in giù mentre il secondo, chiamato ihram, è formato da una fascia che passa sotto al braccio destro e sovrasta la spalla sinistra. Le donne indossano un unico abito bianco e il velo.
Una volta arrivato a La Mecca, ogni pellegrino deve compiere sette circumambulazioni (tawaf) intorno alla Kaʿba. Parte successivamente per la Piana di Arafat, che si trova a pochi chilometri a est rispetto alla città santa. Le persone, durante il tragitto verso Arafat, pernottano solitamente a Mina, dormono invece a Muzdaliffah nella strada del ritorno. Durante il secondo passaggio a Mina è previsto il Jamarat, il particolare “rituale della lapidazione del diavolo”, durante il quale i fedeli scagliano sette pietre contro un muro che deve rappresentare il diavolo e le sue tentazioni. Alla fine del pellegrinaggio la persona, che verrà chiamata hajjee, deve effettuare un sacrificio animale (di solito per procura) come ringraziamento per essere stato accettato tra i purificati, e compiere nuovamente i sette giri attorno alla Kaʿba; potrà poi lasciare La Mecca.
Sebbene non sia una parte essenziale dell’Hajj, molti pellegrini si recano successivamente anche a Medina, a nord della Mecca, dove è sepolto il profeta Maometto.
Hajj post pandemia
Il governo saudita afferma che pre pandemia il numero di persone che veniva autorizzato a compiere l’Hajj ammontava a circa due milioni e mezzo all’anno; secondo le fonti di Reuters erano invece circa 19 milioni le persone che fino al 2019 prendevano annualmente parte all’Umrah, il secondo tipo di pellegrinaggio che può essere effettuato in qualsiasi altro periodo dell’anno. A causa del Covid invece l’Hajj era stato limitato, nel 2020, a sole 1.000 persone residenti in Arabia Saudita e a 60.000 totali nel 2021. Quest’anno invece, dopo la rimozione della maggior parte delle restrizioni, lo Stato accoglierà circa un milione di pellegrini, di cui circa 850.000 provenienti dall’estero. L’accesso è limitato ai pellegrini di età compresa tra i 18 e i 65 anni che sono stati completamente vaccinati o che si sono immunizzati contro il virus e che non soffrono di malattie croniche.
Considerando i due anni di pausa che si sono appena conclusi, la quantità di persone che andrà a ritrovarsi in un luogo così delimitato e la forte pressione che i media stanno riversando sull’evento, il governo ha deciso di servirsi di agenti di sicurezza che, mescolati tra i pellegrini all’interno della moschea, controlleranno da vicino che non avvengano rivolte, incendi e addirittura gli eventi mortali che hanno segnato gli Hajj precedenti. Ci saranno chiaramente anche dei checkpoint di controllo all’ingresso della città come anche una rete di telecamere di sorveglianza lungo tutto il perimetro del luogo sacro.
Nel corso degli anni il regno ha investito miliardi di dollari nella sicurezza del pellegrinaggio. L’evento, con tutto ciò che esso apporta allo Stato come gli alloggi, i trasporti, le tasse e i doni dei fedeli fa circolare molto denaro all’interno del paese. Citando sempre le fonti di Reuters, il piano di riforma economica del principe ereditario Mohammed bin Salman mira ad aumentare la capacità di Umrah e Hajj a 30 milioni di persone totali annuali per generare circa 50 miliardi di riyal (13 miliardi di dollari) di entrate entro il 2030.
I rischi connessi alle infezioni e al cambiamento climatico
La condizione climatica dell’Asia occidentale è sempre stata impegnativa: il clima è tendenzialmente secco, il territorio è prevalentemente desertico e si verificano spesso improvvisi sbalzi di temperature. Già nel 1987, a causa delle condizioni estreme e della vicinanza di persone di diverse provenienze, ci fu a seguito dell’Hajj un’ampia epidemia di meningite e le autorità sanitarie dell’Arabia Saudita avevano reso obbligatoria la vaccinazione per tutti i pellegrini con vaccini bivalenti A e C.
Anche le infezioni delle vie respiratorie come la normale influenza o la polmonite sono molto comuni, ne è derivato anche l’obbligo del vaccino antipneumococco per ogni over 65 già negli anni ’90. Tra gli altri rischi che erano stati riscontrati negli scorsi anni figuravano anche la pertosse, l’epatite A, la comune diarrea del viaggiatore e le infezioni cutanee dovute al movimento e allo sfregamento dei vestiti. Risale sempre a prima del 2000 il caldo consiglio del ministero della salute saudita di utilizzare le mascherine durante tutto l’evento.
Gli uomini musulmani completano inoltre il pellegrinaggio radendosi la testa e, sebbene i regolamenti ufficiali impongano l’utilizzo di lame monouso, è difficile che nessuno decida di radersi i capelli lungo il percorso con lame non sterili che vengono riutilizzate su diverse persone. La maggiore causa di mortalità durante l’evento è tuttavia relativa alle ferite traumatiche. Gli incidenti automobilistici sono sempre stati inevitabili, i pellegrini viaggiano a piedi e in prossimità del traffico e, infatti, la maggior parte delle morti che si verifica in prossimità dell’Hajj è dettata dai flussi di persone in fuga da incidenti stradali a seguito di un generale panico diffuso tra la folla.
Negli ultimi anni sono aumentati anche i rischi legati al cambiamento climatico. Lo studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Environmental Research Letters, ha evidenziato che nella regione geografica nella quale si svolge l’evento ha registrato negli ultimi anni un aumento di 1,2 gradi Celsius, condizione che esporrebbe i pellegrini ad un rischio di circa cinque volte maggiore di accusare colpi di calore pericolosi per la vita. La temperatura alla quale le persone verranno esposte, in quanto la maggior parte dei riti sacri viene svolta attorno alla Kaʿba, dunque all’esterno, sarà compresa tra i 36 e i 43°C.
La strategia nazionale Hajj Extreme Heat, attiva dal 2016, prevede aria condizionata e ventilatori in tutti i luoghi chiusi e una quantità di acqua adeguata. Il ministero della salute ha anche annunciato di aver fornito dei ventilatori di nebulizzazione in ogni sito religioso e l’ospedale più vicino sarebbe dotato di un servizio attivo 24 ore su 24 per le problematiche connesse al caldo.
Nonostante ciò, Fahad Saeed, il principale autore dello studio, continua ad affermare che, anche “al fine di evitare profondi rischi per uno degli elementi centrali della loro fede”, i paesi musulmani dovrebbero considerare di lavorare più attivamente alla riduzione delle emissioni nell’ambito dell’Accordo di Parigi. Rimane un’incognita poco realistica al sapore di pubblicità anche la “Saudi Green Initiative” presentata ad ottobre 2021 dal principe Mohammed bin Salman in cui si prevede che l’Arabia Saudita avrà ridotto entro il 2030 le emissioni di anidride carbonica del 50%.