La Turchia è spettatore interessato delle vicende al confine tra Russia e Ucraina, non solo perché le schermaglie avvengono a poche miglia nautiche dalle proprie coste, ma anche e soprattutto a causa della vicinanza diplomatica di Ankara ai due attori protagonisti della contesa. In una possibile escalation del conflitto russo-ucraino, la posizione di Erdogan sarebbe piuttosto scomoda: che scelga di non intervenire, o intervenire a favore di qualcuno, rischierebbe comunque di incrinare i rapporti con una delle due parti. E la mediazione, dopo il riconoscimento ufficiale di Putin del Donbass, si fa sempre più complessa.
Turchia e Russia: Odi et Amo
La Turchia, nonostante il passato conflittuale nei teatri del Mediterraneo (Libia, Siria) e del Caucaso, non può realmente definirsi rivale di Mosca. Infatti, mire geopolitiche a parte, i due paesi hanno intrattenuto legami economici relativamente stabili sin dagli anni Novanta. Nel 1992 un primo avvicinamento fu istituzionalizzato, su iniziativa turca, tramite l’Organizzazione della cooperazione economica del mar Nero (BSEC), che funse per Ankara da primo apripista verso l’Eurasia (complementare, non alternativo, al progetto di adesione all’UE).
Il rapporto tra Ankara e Mosca stentò a decollare a causa di dinamiche di politica interna (leggasi il supporto turco per la resistenza cecena e quello russo per il PKK) almeno fino ai primi anni Duemila, quando l’interdipendenza economica fu incrementata grazie ad accordi bilaterali negli ambiti dell’approvvigionamento energetico, del turismo, del commercio e degli investimenti (e.g. settore edile).
Successivamente, la cooperazione passò da una dimensione prettamente economica a una più identitaria e securitaria. Da un lato, la leadership turca ha assunto tratti via via più autoritari, somiglianti più alla democrazia illiberale russa che a quelle liberali dell’Europa Occidentale. Dall’altro, l’acquisto nel 2017 da parte di Ankara del sistema antimissilistico russo S-400 ha rappresentato una svolta nell’allineamento geopolitico della Mezzaluna, in seguito sanzionata dagli USA ed esclusa dal programma di sviluppo dei cacciabombardieri F-35.
Nonostante oggi sia difficilmente definibile “partner strategico” di Mosca, a causa della sua appartenenza alla NATO, la Turchia ha mantenuto un approccio ibrido che l’ha portata a tenere il piede in più staffe: quella russa, quella europea e quindi quella ucraina.
Turchia e Ucraina: tra affari e realpolitik
È significativo che proprio durante una fase di alta tensione tra Mosca e Kyiv sia arrivata la firma di un importante accordo commerciale tra Recep Tayyip Erdogan e Volodymyr Zelenskyy. Nella visita dello scorso 3 febbraio, il presidente turco ha incontrato l’omologo ucraino, definendo un partenariato per la produzione in Ucraina dei droni Bayraktar TB2. Negli ultimi tempi anni la Turchia è diventata un partner commerciale sempre più importante per l’Ucraina. Il commercio bilaterale è cresciuto del 50% solamente nei primi nove mesi del 2021, raggiungendo il valore di 5 miliardi di dollari. La speranza dei due firmatari è di superare i 10 miliardi nei prossimi anni.
La portata geopolitica dell’accordo è più ampia di quanto un discorso prettamente economico non riveli, poiché dimostra la disponibilità della Mezzaluna a esplorare nuove opzioni per aumentare la propria presenza a livello regionale.
Ormai dal 2014, a seguito dell’annessione de facto della Crimea da parte del Cremlino, la Turchia vede infatti l’Ucraina come un potenziale contrappeso della Confederazione russa nell’area del Mar Nero, nonché una barriera contro le mire espansionistiche eurasiatiche di Putin. D’altra parte l’Ucraina ha una percezione simile della Turchia, che considera un partner di spicco, in grado di potenziare il settore della Difesa tramite le sue ampie capacità militari.
La scomoda posizione di Erdogan
Appare attualmente improbabile che il presidente turco prenda posizione netta nella disputa russo-ucraina: un’eventuale intromissione andrebbe infatti contro gli interessi economici e securitari del paese, compromettendo il commercio nell’area del Mar Nero e l’approvvigionamento energetico (la Turchia importa circa un terzo del gas e un quinto del petrolio dalla sola Russia).
Nonostante gli appelli in favore di una soluzione pacifica della crisi tramite negoziati, Erdogan è sin qui risultato assente dagli sforzi diplomatici di mediazione intrapresi dell’Occidente, e sembra che nemmeno Joe Biden consideri la Turchia un alleato affidabile in questo contesto.
A seguito dell’ufficiale riconoscimento da parte di Putin del Donbass, potrebbe inoltre essere troppo tardi per l’incontro fortemente caldeggiato da Erdogan con il suo omologo russo, le cui date sarebbero state annunciate dopo il 20 febbraio, giorno della chiusura dei Giochi Olimpici Invernali a Pechino.
In ritardo, con le mani legate e impossibilitata a schierarsi apertamente con l’uno o l’altro attore in gioco, pare che al momento la Turchia possa solo attendere e sperare nella distensione.