AFP_97F2EAAAAM-k06B-U32501722856755EyB-656x492@Corriere-Web-Sezioni

In media stat Erdogan

“Tutti gli autocrati sono uguali, ma qualcuno lo è più degli altri” sembra essere un buon riassunto della parafrasi di orwelliana memoria che sta andando in onda sulle due rive del Mar Nero. Da un lato Vladimir Putin, colui che per anni ha rappresentato la reincarnazione dello zarismo in salsa moderata e ora retrocesso nei panni di paria della comunità internazionale e, dall’altro, il sultano Erdogan che, messi via i panni dell’autocrate integralista, sfoggia il suo volto di attore diplomatico conciliante e atlantista.

Fresco di annuncio di ricandidatura (la terza da Presidente, dopo 10 anni passati da primo ministro) sul tavolo del leader turco si prospettano due succulenti dossier: le relazioni con l’Europa e l’Occidente (sulla questione migratoria e sulla militarizzazione delle isole greche nel Mar Egeo) e il ristabilimento di un ruolo di mediatore credibile tra la Nato e l’Orso Russo.

Aspirazioni maturate

Daniele Santoro, nel nuovo numero di Limes, ben descrive il cambio di peso che Erdogan è riuscito a conquistare stando tra i due capi della fune. Alla vigilia dell’invasione in Ucraina, infatti, avevamo già descritto gli ostacoli che lo scacchiere internazionale presentava alle ambizioni della Turchia di riuscire nella propria politica di potenza. I legami economici che legano Ankara con Kyiv e Mosca fanno di Erdogan un interlocutore allo stesso tempo credibile e pragmatico, al limite dell’opportunismo: la necessità di aprire i negoziati tra le due parti in conflitto rappresenta infatti un’occasione unica per entrare nel “girone delle potenze mondiali”.

D’altro canto, essendo ben lontana dai dilemmi etici e strategici che stanno paralizzando gli omologhi membri dell’alleanza atlantica, l’azione turca risulta imperniata di ambiguità: con una mano Ankara rifornisce di droni innovativi Kyiv e con l’altra offre riparo agli oligarchi russi, chiude lo Stretto alla Russia e allo stesso tempo non condivide le sanzioni economiche  degli Occidentali.

Un’iconica stretta di mano simbolo di un Erdogan ponte di interessi occidentali e russi, all’apertura del Blue Stream (2005, Presidential Press Service)

Ma a che gioco sta giocando Erdogan? Vedendo il suo spazio di manovra allargarsi, sembra allargare i gomiti puntando al controllo del mar Nero, scommettendo che la guerra indebolirà irrimediabilmente l’influenza dell’Ucraina come della Russia sulla regione. Se questo avverrà, allora Erdogan già si immagina con il coltello dalla parte del manico in eventuali negoziati con Mosca, dettando da attore privilegiato tanto le regole del gioco per il confine siriano, quanto le condizioni sugli accordi commerciali ed energetici dato l’accresciuto peso della Turchia come partner per una Russia ormai sprovvista di clientela europea. A prova del ruolo cardine che la Turchia può rappresentare in seno alla NATO, infatti, emerge la decisione di porre il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica. Erdogan accusa i due stati scandinavi di sostenere economicamente e militarmente i militanti del PKK e queste accuse sono state subito accolte dal segretario generale Stoltenberg che ha affermato: “Quando un alleato fondamentale come la Turchia solleva preoccupazioni sul terrorismo, ovviamente dobbiamo sederci e prenderle sul serio. Ed è esattamente quello che facciamo”. Il gioco di Erdogan sembra poter dare i suoi frutti nei tavoli internazionali, vedendosi indispensabile sia per l’Occidente che per Putin.

Allarme greco

E non è tutto. La Turchia alza il tono anche su un altro fronte: il riarmo delle isole greche a pochi chilometri dalle coste turche. “Esortiamo la Grecia a tenere a bada parole e azioni, a usare la testa se non vuole pentirsene come avvenuto un secolo fa. Sono serio, non sto scherzando, qualcuno è stato viziato negli anni passati e fino a quando questi vizi non saranno eliminati questo argomento rimane sensibile”- ha affermato di recente il presidente turco. La contesa nell’Egeo è scaturita dalle esercitazioni militari greche al largo delle isole dell’Egeo, un atto ritenuto ostile dalla Turchia e in contraddizione con il trattato di Losanna che concede la sovranità delle isole alla Grecia in cambio della demilitarizzazione. Una posizione all’apparenza ragionevole quella di Ankara, se non si precisasse che tale riarmo nasce da alcune recenti esplorazioni ordinate dal governo turco alla ricerca di gas nelle acque ritenute di competenza territoriale greca. Atene, dal canto suo, incassa l’appoggio convinto della Francia di Macron e respinge qualsiasi accusa al mittente.

Erdogan in un discorso ad Ankara, 2020. (Turkish Presidency via AP, Pool)

La scommessa di Erdogan è di fare della Turchia una potenza rispettata e credibile a cavallo tra i due blocchi, capace di giocare la propria partita sulle questioni energetiche come sul piano militare. Ancora una volta, il destino di quella che un tempo era “la Sublime Porta” si gioca a cavallo tra i due mari che da sempre sfumano il confine tra Oriente ed Occidente: l’Egeo e il Mar Nero.

Ti potrebbero interessare