Il 6 dicembre si è tenuta negli Stati Uniti l’ultima votazione relativa alle elezioni di medio termine, il ballottaggio in Georgia che ha visto il candidato Raphael Warnock vincere il cinquantunesimo seggio al Senato per i democratici, che quindi vedono consolidata la maggioranza in una delle due camere.
Per cosa si vota alle elezioni di medio termine e perché sono importanti?
Le elezioni di midterm si svolgono ogni quattro anni e rinnovano completamente i 435 seggi della Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato, ovvero 34 seggi su 100. Mentre i senatori stanno in carica complessivamente sei anni, i deputati solo due. Prima delle elezioni il partito democratico deteneva la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Le elezioni di midterm si svolgono a metà del mandato presidenziale e hanno un’importanza riconosciuta soprattutto come metodo di valutazione dell’amministrazione corrente. Storicamente il partito del presidente in carica perde la maggioranza in almeno una delle due camere, se non in entrambe. Quindi si può dire che le elezioni di midterm possono dare informazioni sia sulla forza politica al governo, sia sull’opposizione, per la quale questa tornata elettorale rappresenta un ottimo modo di posizionarsi e riprendere le redini del potere legislativo, anche in ottica delle elezioni presidenziali del 2024. Le elezioni di metà mandato possono modificare le dinamiche di potere tra le forze politiche relativamente ai rami di governo e quindi possono definire una situazione in cui il governo presidenziale potrebbe dover fare i conti con le due camere in mano all’opposizione, il che quindi condizionerebbe in modo significativo il raggio d’azione del presidente negli ultimi due anni di mandato. Oltre ai seggi del Congresso, l’8 novembre gli elettori americani di 36 stati hanno dovuto rinnovare anche il loro governatore.
I temi della campagna elettorale
I temi centrali della campagna elettorale hanno riguardato l’economia. L’inflazione all’8% (valore più alto dagli anni Ottanta) e l’innalzamento dei prezzi di gas e petrolio sono stati sfruttati dai repubblicani per attaccare il presidente in carica, accusandolo di essere l’artefice di questa situazione tramite le sue politiche. In particolare, è stata oggetto di critiche l’American Rescue Plan del 2021, una legge di stimolo economico firmata da Biden nel marzo dello scorso anno e approvata senza il voto repubblicano. È a questa manovra che i repubblicani imputano l’aumento dell’inflazione. I repubblicani si sono inoltre impegnati in una campagna per dipingere i democratici come “soft on crime”, attribuendo all’amministrazione corrente la responsabilità dell’innalzamento del grado di violenza nelle città americane, citando il rapporto del Major Cities Chiefs Association che mostra un innalzamento dell’indice di omicidi del 6.2% calcolato su settanta città americane. È stata inoltre recriminata ai democratici anche una posizione troppo debole riguardo la condizione dei carcerati.
I democratici invece hanno basato la loro campagna elettorale soprattutto su temi di diritti civili e assistenza sociale. Il tema dell’aborto è stato centrale in questa campagna, visto il recente ribaltamento della storica sentenza della Corte Suprema Roe vs Wade che garantiva il diritto all’aborto a livello federale. Gli spot elettorali sulle reti americane vedevano i democratici dipingere i vari sfidanti
repubblicani come determinati a bandire l’aborto, a prescindere dalle circostanze specifiche per cui veniva richiesto, e a punire le donne che vi facevano ricorso, a volte anche esasperando alcune posizioni dei candidati pro-life. Parte della campagna democratica si è concentrata sulla critica feroce al piano del senatore repubblicano Scott che prevedeva una tassazione anche per i redditi più bassi. Nonostante il partito repubblicano si sia distanziato da tale iniziativa, al punto che il leader della minoranza del Senato Mitch McConnell ha dichiarato che il piano di Scott non sarebbe stato nell’agenda repubblicana, questo non ha impedito ai democratici di cogliere la palla al balzo e criticare gli avversari per il tentativo di mettere in difficoltà i ceti medio-bassi e mettere a repentaglio l’assistenza sanitaria assicurata a queste fasce tramite il Medicare. Inoltre, i democratici hanno sfruttato le posizioni radicali dei candidati trumpiani per impostare la campagna sull’idea della difesa della democrazia, permettendo in questo modo di spostare il focus dalle questioni economiche, punto debole dei democratici secondo i sondaggi.
Le previsioni stimavano la cosiddetta red wave repubblicana, cioè una grande affluenza dell’elettorato repubblicano che avrebbe quindi ribaltato gli equilibri del Congresso. Gli analisti basavano queste previsioni anche sul basso indice di gradimento del presidente Biden, che FiveThirthyEight stima appena sopra il 40%. Ma questo non è avvenuto.
Come sono andate le midterm per i due partiti?
I Democratici mantengono il controllo del Senato, la vittoria di Raphael Warnock nel ballottaggio in Georgia non fa che confermare questo risultato, dando ai democratici una maggioranza meno risicata ma comunque non significativa. In ogni caso è un risultato positivo per l’amministrazione Biden che dalle premesse era preparata ad un risultato diverso. La “red wave” non c’è stata e, oltre ad aver mantenuto il controllo del senato, il partito democratico è riuscito ad eleggere 18 governatori, colorando di blu il Maryland e Massachusetts, governati fino a quel momento dai repubblicani. Il risultato al di sopra delle aspettative può essere valutato positivamente dall’amministrazione Biden che ora potrebbe dirsi più forte dopo questa prova elettorale parzialmente superata, in una visione più ottimista può persino considerarsi una vittoria.
Il partito repubblicano invece, seppur conquistando la maggioranza alla Camera, non può dirsi soddisfatto. Il GOP, infatti, si mostra spaccato su due fronti, tra chi sostiene (ed è sostenuto) dall’ex presidente Donald Trump e coloro che invece Liz Cheney ha definito “Team Normal”. Il New York Times sostiene che i candidati che hanno avuto l’endorsement da Trump hanno ottenuto un risultato peggiore degli altri repubblicani di un numero compreso tra i 5 e i 7 punti percentuali sui risultati del 2020. L’elemento che fa riflettere è che in stati come Arizona e Pennsylvania gli esiti sono stati decisi da risultati minori di cinque punti, in questo senso il cosiddetto “effetto Trump” avrebbe determinato la sconfitta repubblicana al Senato. Anche dove i candidati trumpiani hanno vinto, non si è trattata di una vittoria significativa in termini di numeri.
L’intenzione di Trump era posizionare i suoi candidati e sfruttare la loro eventuale vittoria per annunciare la sua candidatura per la corsa presidenziale, ma le sue aspettative sono state modificate dai risultati elettorali. Questi, infatti, sembrano aver messo in luce la fragilità della base elettorale MAGA (ci si riferisce ai sostenitori di Donald Trump, questa nominazione deriva dal suo slogan Make America Great Again) mentre hanno risaltato un’altra area del partito repubblicano, comunque non definibile moderata, ma sicuramente neanche sovversiva. Ad essere considerato vincitore di queste midterm è infatti Ron Desantis, riconfermato governatore della Florida con un risultato elettorale che sfiora il 60% e quella che sembra una strada spianata verso la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
Questo non ha fermato comunque Trump dall’annunciare la sua corsa verso la Casa Bianca nella notte tra il 15 e il 16 novembre dalla sua residenza in Florida. Ha tenuto infatti un discorso di un’ora in cui ha riproposto i temi caratteristici delle sue scorse campagne, come l’immigrazione e la sicurezza nelle città. Alla luce del risultato elettorale ora non è più scontato il sostegno del partito all’ex presidente, che porta con sé anche il peso dell’attacco al congresso del 6 gennaio 2021, per il quale è ancora sotto inchiesta. Il partito infatti sembra più orientato verso una candidatura meno divisiva che non allontana il voto degli indipendenti e questa figura sembrerebbe impersonata da DeSantis.