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L’India tra Putin e Xi

Gli equilibri delle alleanze indo-asiatiche dopo l’avvicinamento con Mosca

Mosca e Nuova Delhi convergono, grazie ad accordi economici, difensivi e diplomatici che andranno ad intaccare inevitabilmente i loro legami con altre potenze, andando in contrasto in primis con gli interessi continentali e globali di Cina e Stati Uniti.

Vecchi amici

La visita di Vladimir Putin conferma la salda amicizia indo-russa, radicatasi nel corso del secolo scorso soprattutto per il gioco dei rapporti di forza tra Cina Maoista e URSS nel continente asiatico. Dalla difficile indipendenza del 1947, infatti, cominciarono massicci investimenti industriali sovietici perseguiti poi dal binomio Indira Gandhi e Leonid Breznev, nonostante l’India ricoprisse un ruolo di guida nel Movimento dei Paesi non allineati, nato formalmente con la Conferenza di Bandung del 1955.

I tentativi riformisti indiani alla vigilia del crollo dell’universo sovietico hanno avuto difficoltà ad attuare una transizione modernizzatrice dell’assetto industriale dell’ex colonia britannica, costretti tuttora a dipendere economicamente, e in particolare per il settore degli armamenti, dalla Federazione Russa.

Il presidente russo Vladimir Putin con il primo ministro indiano Narendra Modi a New Delhi, 6 dicembre 2021. (Harish Tyagi, Epa/Ansa)

Innanzitutto per la Russia si tratta di un interesse che, oltre ad allarmare Cina e USA, riguarda da vicino anche l’Europa: infatti il Cremlino cerca così di inserirsi nei legami indo-americani, di formare un fronte saldo contro la nuova Kabul, tornata sotto il controllo talebano nell’agosto scorso in sintonia con Pakistan e Cina, e infine, con la fornitura missilistica, vuole assicurarsi un alleato filo-occidentale in vista della veloce espansione verso Kiev. Nuova Delhi dovrà così sbrigliarsi in un eventuale conflitto aperto in Ucraina, scegliendo una delle due parti, e questo accordo può rendere appetitoso il fronte russo anche valutando la relazione difensiva fra Ucraina e Pakistan, da sempre, ovviamente, mal vista in India.

Secondo gli accordi, oltre l’acquisto di missili S-400 e Kalashnikov, entro il 2025 gli scambi commerciali aumenteranno di da 7 a 30 miliardi di dollari e verrà instaurato formalmente un “2+2 Ministerial Meeting”, cioè un dialogo costante fra i ministri degli Esteri e della Difesa dei due Stati, un privilegio che il presidente indiano Narendra Modi ha concesso solo al gruppo diplomatico di chiave anti-cinese del QUAD, formato da Stati Uniti, Giappone e Australia.

Cautela obbligatoria

Entrambi gli attori, però, sanno che sarebbe sconveniente sbilanciarsi verso un fronte o verso un altro: per quanto riguarda l’India, per continuare a restare agganciata allo sviluppo dell’occidente democratico, e per Putin al fine di mantenere la Cina come partner, sfruttandone l’ascesa, piuttosto che avere questi due colossi egemonici come rispettivi antagonisti per aver aperto le porte ai loro rivali. Le buone relazioni con “gli opposti schieramenti” non possono andare, in entrambi i casi, fino al punto di indispettire il partner di riferimento. L’armistizio del lontano 1962 che pose fine alla guerra di confine sino-indiana non ha saputo far cessare le mire cinesi verso il Tibet, seppur segni di collaborazione si trovano sui monti dello Yunnan con azioni militari congiunte annuali, quindi la Russia farebbe bene a non dipingersi come alleato del suo rivale.

L’azione di entrambe le potenze sembra dunque improntata ad una certa flessibilità, ciò che le permette di incunearsi nelle falle del sistema di relazioni internazionali per aumentare il proprio status, evitando di destabilizzare pericolosamente alcun equilibrio.

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