Lo scontro sulle olimpiadi invernali è l’ennesima prova di una rivalità insanabile tra Cina e USA
Il 6 dicembre la Casa Bianca ha ufficialmente annunciato un boicottaggio diplomatico per le Olimpiadi invernali del 2022, che si terranno in Cina. Jen Psaki, portavoce del presidente statunitense, ha confermato una decisione che era già nell’aria da diverso tempo. “Non contribuiremo alla fanfara dei giochi” ha detto Psaki, la scelta è stata giustificata dall’amministrazione Biden come una reazione alle politiche e i metodi di Pechino. “Manovre geopolitiche provocatorie, scorrettezza economica e mancato rispetto dei diritti umani” sono solo alcune delle motivazioni che hanno spinto Biden al boicottaggio. Nonostante da più parti sia stato richiesto un boicottaggio generale, alla fine ci si è limitati ad un boicottaggio diplomatico, non sarà quindi presente una delegazione ufficiale di diplomatici statunitensi ma gli atleti saranno presenti e parteciperanno alla competizione, questo anche per “non penalizzare tutti quegli sportivi che si allenavano da tempo per la competizione”.
Le reazioni internazionali
Al boicottaggio statunitense parteciperanno anche Australia, Nuova Zelanda, Canada e Gran Bretagna le cui delegazioni governative non raggiungeranno Pechino. Ancora nessuna reazione di solidarietà col boicottaggio invece da parte dei paesi dell’Unione Europea, l’Italia in particolare ha confermato la propria partecipazione alla competizione e lo stesso presidente del CONI, Giovanni Malagò, ha voluto affermare la propria contrarierà a qualsiasi boicottaggio che, secondo lui, “strumentalizzerebbe i giochi”.
Da parte cinese è arrivata una dura reazione alla notizia, la “mentalità da Guerra Fredda” applicata dagli Stati Uniti preoccupa Pechino, in particolare il governo del presidente Xi Jinping ha parlato di una “strumentalizzazione che tenderebbe a creare divisioni e provocare scontri”.
Tutto questo inoltre va a bloccare qualsiasi tentativo di dialogo tra le due potenze mondiali, un primo tentativo di disgelo, come ha sottolineato Politico, era avvenuto durante un video-meeting tra Biden e Xi Jinping avvenuto circa tre settimane fa. Anche se in quell’occasione si era palesata una situazione di stallo, tanto che già a marzo, lo stesso segretario di Stato americano, Blinken aveva dovuto ammettere l’opposizione tra i due governi su un ampio numero di tematiche.
Un boicottaggio insanabile
Le accuse di Washington al regime cinese si basano su diverse questioni, una su tutte la limitazione nell’espressione del dissenso che è stata appurata in diverse occasioni: dal Tibet ad Hong Kong, fino alle recenti crisi che hanno riguardato Taiwan oppure il genocidio degli uiguri nello Xinjiang. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sembra poi essere stata la persecuzione perpetuata dal governo cinese nei confronti della tennista Peng Shuai, scomparsa per ben tre settimane dalla scena pubblica dopo aver accusato di molestie sessuali un alto dirigente del Partito Comunista Cinese. Le divisioni sistemiche ed inconciliabili tra Washington e Pechino sono quindi la vera motivazione di un boicottaggio diplomatico che sembra frutto di una insanabile rivalità sia dal punto di vista politico che economico e sociale.
I precedenti
La questione del boicottaggio delle Olimpiadi ovviamente ricorda il celebre boicottaggio (per protestare contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan) operato sempre dagli Stati Uniti nei confronti delle Olimpiadi di Mosca del 1980. Durante la guerra fredda il paese, allora guidato da Jimmy Carter, fu seguito da più di sessanta stati e attuò un boicottaggio completo che effettivamente danneggiò il prestigio della competizione a causa dell’assenza di molti atleti importanti. La stessa Unione Sovietica quattro anni dopo, insieme ad altri 15 paesi, boicottò le Olimpiadi di Los Angeles. Sono questi eventi storici che effettivamente giustificano la “mentalità da guerra fredda” della quale gli statunitensi vengono accusati.
Lungo il corso della storia lo sport è spesso entrato in contatto con la politica e il boicottaggio è stato un’arma applicata molto spesso, nonostante gli scarsi risultati pratici. Ad esempio, anche per le Olimpiadi del 1936 a Berlino nacque un movimento che proponeva un boicottaggio e vennero proposte persino delle contro-olimpiadi che si sarebbero dovute svolgere a Barcellona, salvo poi essere annullate per lo scoppio della guerra civile spagnola. Nel ‘33 Avery Brundage, presidente del Comitato Olimpico Americano, disse proprio quello che pochi giorni fa ha detto Malagò, sostenendo che la politica non aveva nulla a che fare con lo sport, aggiunse poi che “gli atleti americani non vanno coinvolti nella lite ebreo-nazista”. Alla fine, non avvenne alcun boicottaggio e le stesse olimpiadi di Berlino ebbero garantita la partecipazione più alta nella storia della competizione fino a quel momento.
L’unico boicottaggio riuscito, che sia degno di nota, sembra essere quello contro il Sudafrica dell’apartheid. Secondo vari analisti citati dall’Economist, il boicottaggio trentennale contro il Sudafrica contribuì a mettere sotto pressione il governo segregazionista, e fu uno dei fattori, anche se ovviamente non il principale, che portarono alla fine dell’apartheid. Il Post tende però a sottolineare come questo boicottaggio rispettasse determinate condizioni: una lunga durata, richieste chiare e il coinvolgimento del boicottaggio in un ampio spettro di proteste. Tutte queste caratteristiche non sembrano appartenere al boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino.
La scelta statunitense sembra quindi ricordare metodi diplomatici di un altro secolo e che spesso non hanno avuto successo. La finora scarsa partecipazione all’ipotesi di boicottaggio va quindi a rimarcare come gran parte dei paesi del mondo non voglia riconoscere la divisione in blocchi del mondo, preferendo quindi continuare a coltivare relazioni con entrambe le potenze mondiali, senza generare cesure nette nei rapporti diplomatici.