Il ruolo della Corte Penale Internazionale e le possibili conseguenze del mandato d’arresto che condanna il Vladimir Putin per la deportazione dei minori ucraini nel territorio russo
Il 17 marzo la Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso un mandato d’arresto internazionale nei confronti del presidente russo Vladimir Putin per il suo coinvolgimento nei trasferimenti forzati di migliaia di bambini dall’Ucraina. In particolare, la Corte ritiene Vladimir Putin, e con lui anche Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa, responsabili di quello che è considerato un crimine di guerra. Ma che significa esattamente questa condanna e a quali conseguenze potrebbe portare?
Cos’è la corte penale internazionale?
Per iniziare è utile fare una distinzione tra la Corte internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale. La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è il principale organo giudiziale dell’ONU. Istituita nel 1945, inizia la sua attività nell’aprile dell’anno successivo nella sua sede all’Aja. Si tratta di un istituto creato al fine di risolvere le controversie internazionali con un metodo che non contempla l’arbitrato internazionale. La ragione della sua istituzione è da rintracciarsi negli obiettivi dell’ONU, in particolare nell’obbligo di risoluzione pacifica delle controversie e nel corollario del divieto dell’uso della forza previsto dall’articolo 2 della Carta ONU. Quindi l’istituzione di una corte permanente di questo tipo, che dovrebbe risolvere le dispute internazionali tra i diversi stati, fornisce la garanzia di una maggiore certezza di applicazione del diritto internazionale e delle sue norme. Tutti gli stati aderenti all’ONU sono sottoposti al controllo della Corte Internazionale di Giustizia. La Corte Penale Internazionale (CPI), invece, è un’istituzione voluta dalla comunità internazionale a partire dal 1948, quando l’Assemblea generale dell’ONU, nella Convenzione per la prevenzione e la punizione dei crimini di genocidio, aveva previsto la possibilità per gli Stati di delegare i giudizi sui suddetti crimini ad un Tribunale internazionale appositamente costituito. La Guerra Fredda mise in stallo questo progetto che vide la luce solo nel 1998, con la firma dello statuto di Roma. Tutti gli stati che ratificano il trattato di Roma aderiscono al progetto della Corte Penale Internazionale e si sottopongono alla sua giurisdizione. Entrambe queste corti hanno sede all’Aja ma è importante non confonderle: la prima si occupa di risolvere le controversie tra gli Stati membri dell’ONU, mentre la seconda si occupa dei crimini internazionali commessi dagli individui e non dagli stati. Come anticipato, la Corte Penale Internazionale ha la propria base giuridica nello Statuto di Roma, di cui fanno parte 123 Paesi. È importante notare che non sono parte della convenzione di Roma paesi quali Stati Uniti, Cina, Ucraina e Russia (che ha ritirato la sua adesione nel 2016). La CPI esercita le proprie funzioni sul territorio di qualsiasi stato ne faccia parte, ma tramite una convenzione speciale può estendere la sua giurisdizione in ogni altro Stato che lo richieda. Inoltre, in presenza di un determinato crimine che è entrato a far parte del diritto internazionale consuetudinario, la giurisdizione della Corte è estesa anche agli Stati non firmatari della convenzione. La corte penale di giustizia si occupa di perseguire gli individui che commettono crimini quali: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimini di aggressione.
L’accusa
Vladimir Putin è stato accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini di guerra. Con la dicitura “crimine di guerra” si intendono le violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949, dei protocolli addizionali del 1997 e altre gravi violazioni delle leggi e degli usi all’interno del quadro del diritto internazionale dei conflitti armati. Nella fattispecie Putin e la Commissaria Maria Alekseyevna Lvova-Belova sono accusati della deportazione illegale di popolazione e di trasferimento illegale di popolazione dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia. Così la Corte riassume la deportazione di circa 16mila bambini ucraini in territorio russo perpetrata al fine di educarli alla “cultura russa”. È stato un report della Yale School of Public Health che in un’indagine ancora preliminare (e quindi parziale), ha denunciato la creazione di un sistema di rieducazione promosso dal governo russo. Si parla per ora di poco più di quaranta strutture nel territorio russo che sono state adibite ad ospitare e rieducare i bambini ucraini ad un’istruzione russo-centrica con riferimenti alla narrativa nazionalista di Mosca. I campi di rieducazione sono diffusi in tutto il territorio russo, oltre che nei territori occupati della Crimea e del Donbass, e sembrerebbero attivi sin dall’inizio dell’invasione del febbraio 2022. Il numero dei bambini coinvolti in questo traffico non è chiaro in quanto si tratta di dati difficili da indagare e reperire. Si stima tuttavia che almeno seimila bambini ucraini, di età compresa dai 4 mesi ai 17 anni, siano stati ricollocati in questi campi di rieducazione o assegnati a famiglie russe. Dal report emerge che il consenso dato dai genitori sia estorto nella maggior parte dei casi, o comunque viziato dalla situazione di guerra e molto spesso violato in merito ai tempi di permanenza dei bambini nelle strutture e alle procedure a cui questi vengono sottoposti. In alcuni casi i genitori hanno perso le tracce dei minori e i ritorni, da almeno quattro campi, sono stati sospesi. Infatti, la deportazione in alcuni casi termina con la riconsegna dei bambini alle famiglie ucraine di origine, ma della più vasta percentuale di questi si perdono le tracce, probabilmente ricollocati forzatamente in nuove famiglie russe.
Il mandato di arresto
Come abbiamo detto, la Russia non riconosce la Corte Internazionale Penale, per cui è altamente improbabile, se non impossibile, che il leader russo e la commissaria vangano estradati e consegnati alla giustizia internazionale, almeno finché questo regime resiste. Putin però potrebbe venire arrestato qualora dovesse recarsi in uno dei 123 aderenti allo statuto di Roma e questo sicuramente non è da trascurare. Nonostante non abbia sottoscritto il trattato di Roma, Kiev ha reagito positivamente al mandato di arresto, definendolo un “punto di svolta” e poi una “decisione storica”. Anche il presidente americano Biden ha valutato positivamente questo sviluppo, definendo il mandato d’arresto “giustificato”. Nel complesso le reazioni dei leader occidentali che hanno sempre sostenuto l’Ucraina sono favorevoli. È necessario però sottolineare alcune criticità che fanno sì che il mandato della corte penale internazionale sia ridotto rispetto al discorso fatto fino ad ora. La prima criticità, già discussa, riguarda la non validità del mandato di arresto in Russia. Anche il fatto che grandi potenze, come USA e Cina non riconoscano la Corte porta con sé un senso di limitata autorevolezza a livello internazionale. A questo contribuisce anche il fatto che l’efficacia delle misure prese dalla Corte dipende dalla collaborazione degli stati aderenti e non sempre gli stati hanno agito coerentemente con quanto stabilito dal trattato di Roma. Nella storia alcuni paesi, seppur firmatari e aderenti al trattato di Roma, si sono rifiutati di consegnare gli imputati alla corte. È il caso del Sudafrica che nel 2015 si è rifiutato di arrestare Omar Al-Bashir, su cui pendevano due mandati di cattura dalla Corte Penale Internazionale. Il dittatore del Sudan era infatti accusato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Il Sudafrica sarebbe stato quindi obbligato ad arrestarlo ma, in quell’occasione, il leader sudanese fu libero di lasciare il paese dopo il vertice dell’Unione Africana a cui era stato invitato che si teneva a Pretoria. Questo ha creato senza ombra di dubbio un precedente storico. Inoltre, va sottolineato un aspetto che concerne i trattati di pace. Per quanto i paesi alleati dell’Ucraina abbiano valutato positivamente il mandato d’arresto nei confronti di Vladimir Putin, rimane il fatto che il leader russo ora si trovi ancor più escluso a livello internazionale. Probabilmente il mandato d’arresto rappresenterà un ostacolo ai trattati di pace, sia ora che la guerra è in corso sia qualora questa dovesse finire. In futuro, un eventuale ricucitura del Cremlino con l’Occidente sarà solo ostacolata dal mandato d’arresto. In conclusione, per quanto il mandato d’arresto sia un segnale forte, la sua efficacia è limitata, sia dal fatto che la Russia stessa non riconosce la Corte sia dal fatto che persino i paesi che la riconoscono possono non rispettare gli accordi. Inoltre, si tratta dell’ennesimo fattore che allontana la Russia dai trattati di pace e quindi dalla fine del conflitto e che inasprisce i rapporti, già estremamente tesi, con l’Occidente.