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Quale futuro per Taiwan e il Mar Cinese Meridionale? Parte prima

Evoluzione storica dei rapporti tra Taiwan e l’Impero cinese. Tokyo domina l’isola. A Taipei viene fondata la Repubblica di Cina. Washington si inserisce: ha compreso l’importanza strategica di Taiwan

Odi et amo. Con il titolo del carme 85 di Catullo si potrebbe riassumere il rapporto tra Pechino e Taiwan. La Cina, prima come impero e poi come Repubblica Popolare dal 1949 – con la breve parentesi della Repubblica di Cina – ha sempre considerato Taiwan vitale per la propria esistenza. Per lungo tempo le strade tra i due soggetti si sono incrociate, senza però mai unirsi completamente, Taipei non ha mai mostrato interesse per l’unificazione. Poi, a partire dal 1895, è definitivamente incominciata una lenta, e forse ormai inesorabile, separazione. Motivo per cui Pechino potrebbe essere intenzionata ad usare la forza per ripristinare l’unità.

Ad ogni modo, conviene procedere con ordine e ripercorrere prima la storia per comprendere il motivo che spinge, e ha spinto, Pechino ad accordare una tale importanza a Taiwan, o Ilha Formosa – l’“isola bella”, come la chiamarono i primi esploratori portoghesi nel XVI secolo. Conoscere le ragioni per le quali Taiwan si trovi in alto nell’agenda della Repubblica Popolare è infatti necessario anche per capire, allargando lo sguardo, le mosse di Pechino più a Sud, nel mar Cinese Meridionale e nel Pacifico Meridionale.

Parte Prima. Le relazioni tra Cina e Taiwan in una prospettiva storica

1. Taiwan e il Celeste Impero

Nei primi decenni del XVII secolo Taiwan, per la sua posizione strategica dal punto di vista commerciale, attirò l’attenzione degli europei. Prima gli olandesi e poi gli spagnoli fondarono basi commerciali sull’isola di Formosa, finché la Compagnia delle Indie Orientali ebbe la meglio sull’Impero spagnolo e controllò tutta l’isola.

In quegli anni, nel 1644, era succeduta ai Ming la dinastia Qing. Sin da subito i Qing compresero l’importanza di avere un territorio pienamente unificato. Dopo aver condotto con successo le campagne nel Nord e nel Sud della Cina, l’imperatore decise di volgere lo sguardo su Taiwan: era necessario cacciare dall’isola i coloni olandesi per non avere un potenziale nemico alle porte di casa. Dunque, il generale Zheng Chenggong, meglio conosciuto in occidente come Koxinga, nel 1661 portò Taiwan sotto il controllo imperiale.

Le vicende, però, non erano destinate a chiudersi così presto. I problemi – seri – per la dinastia Qing si presentarono dal momento in cui da Koxinga in poi, gli Zheng si autoproclamarono signori di Taiwan. Sull’isola si diede vita ad un regime separatista, che al massimo avrebbe potuto accettare di entrare a far parte degli Stati tributari del Celeste Impero. Tale soluzione, però, non era considerata accettabile dall’imperatore Kangxi. Sicuramente per la Cina era importante avere il controllo di Taiwan che, per via delle sue terre fertili e produttive, avrebbe costituito un importantissimo centro agricolo per Pechino.

Tuttavia, Taiwan era fondamentale per altre due ragioni. La prima era di tipo ideologico, anche se la motivazione sottesa era la sicurezza interna dell’impero. Dal momento che la popolazione di Taiwan era principalmente originaria delle attuali province del Fujian e del Guandong (regioni da cui provengono le etnie Hakka e Hoklo, che vennero unificate concettualmente all’etnia Han da parte di Sun Yat-sen, allo scopo di formare una millenaria identità cinese), i Qing affermavano che l’isola non poteva essere trattata alla stregua di semplice Stato tributario. Era infatti una popolazione cinese, vi era un obbligo morale di unificazione. In realtà, la motivazione dell’imperatore era prettamente securitaria: soltanto una Cina unita sarebbe stata forte. Ogni separatismo era da annientare.

Il secondo e forse più importante motivo per il quale era necessario annettere Taiwan era di ordine strategico. Formosa e le isole Penghu sono molto vicine alla Cina continentale. Se queste isole fossero cadute in mano ad una potenza straniera, le coste sudorientali dell’Impero del Centro sarebbero state un boccone estremamente appetitoso. Di più, sarebbe stato impossibile per Pechino accedere liberamente all’Oceano Pacifico. Insomma, la sicurezza marittima imperiale sarebbe stata compromessa. L’unificazione di Taiwan era quindi imperativo strategico per la Cina.

L’obiettivo dell’imperatore Kangxi – fedele ad un antico detto secondo il quale fare la guerra era da criminali – era di unificare Taiwan senza scatenare una guerra. Una costante pressione economica, politica e militare, senza oltrepassare però la soglia del conflitto, per l’imperatore sarebbero state sufficienti . Tuttavia, il governo di Taiwan non si piegò alla pressione cinese, rifiutando l’unificazione anche dopo che Pechino decise, invece, di iniziare la campagna militare e prese le vicinissime isole Penghu. La conquista di questo arcipelago fu il colpo di grazia per la Taiwan indipendente, che fu costretta a firmare la resa nel 1683. L’anno successivo l’isola separatista fu definitivamente integrata nell’organizzazione territoriale imperiale, nella quale rimase fino al 1895.

Da questo breve excursus storico risulta evidente come da un lato, già quasi 350 anni fa, nelle stanze del potere, a Pechino avessero precisamente individuato gli imperativi strategici relativi a Taiwan. E dall’altro lato, si palesava chiaramente sin da allora la volontà di indipendenza della fu Formosa.

2. Taipei colonia giapponese inizia a sviluppare una coscienza taiwanese

Snodo cruciale nella storia di Taiwan è stato il passaggio sotto il dominio di Tokyo. La dinastia Qing aveva stabilito l’istituzione di una prefettura nel Nord di Taiwan nel 1874, designando l’isola sua provincia nel 1885, con Taipei capitale. In quegli anni, come era stato fatto sempre dai Qing nella seconda metà del XVII secolo nella Cina continentale, vennero trasferite a Taipei tutte le strutture amministrative imperiali. La città stava iniziando a svilupparsi. Tutto si fermò, però, pochi anni dopo, nel 1895.

Pechino, sconfitta nella prima guerra sino-giapponese, fu costretta alla firma del Trattato di Shimonoseki il 17 aprile 1895, con il quale Taipei divenne la prima e unica colonia di Tokyo, sino al 1945. Taiwan era persa. Sebbene la popolazione taiwanese non accolse gli occupanti giapponesi – i quali repressero nel sangue numerose proteste nei primi anni di occupazione e durante la Seconda guerra mondiale forzarono migliaia di donne taiwanesi a diventare “donne di compagnia”, schiave sessuali delle truppe nipponiche – in realtà quello fu un periodo centrale nello sviluppo dell’isola. L’Impero del Sol Levante modernizzò drasticamente l’isola, sia a livello sociale che architettonico e industriale. Tokyo fece ciò che la dinastia Qing non fu capace di fare in trecento anni di presenza a Taiwan.

Uno dei maggiori effetti del rinnovamento della società taiwanese nel periodo di dominazione giapponese fu il fatto che iniziò a svilupparsi un concetto, ancora in fieri, di identità collettiva. In questo contesto giocarono un ruolo importante anche le popolazioni indigene dell’isola. Gli aborigeni di origine austronesiana, vissuti sempre ai margini della società sia durante l’amministrazione Qing che sotto il governo di Tokyo – che era solito compiere violenti atti di repressione e di assimilazione nei loro confronti – iniziarono a chiedere diritti e a sviluppare una coscienza collettiva autoctona. Proprio il recupero dell’identità indigena si vedrà come attualmente giochi un ruolo non secondario nella costruzione di una forte coscienza nazionale taiwanese.

3. Fondazione della Repubblica di Cina. Chiang Kai-shek vs Mao Zedong, la guerra civile cinese

Intanto, in Cina l’impero era crollato, lasciando il posto alla Repubblica di Cina, proclamata a Nanchino il 1° gennaio 1912 da Sun Yat-sen. Quest’ultimo, nel 1905 aveva fondato a Tokyo l’Alleanza Rivoluzionaria Cinese, un movimento che nel suo programma prevedeva tre pilastri fondamentali per il popolo cinese: unità della nazione, diritti del popolo e benessere del popolo. L’Alleanza Rivoluzionaria Cinese fu il movimento che fornì il supporto ideologico alle proteste che iniziavano a susseguirsi e che sfociarono nella Rivolta di Wuchang, miccia che provocò l’esplosione della Rivoluzione cinese del 1911. Vani furono i tentativi dei Qing di far diventare l’impero una monarchia costituzionale: le province, a mano a mano, si dichiaravano fedeli all’Alleanza Rivoluzionaria Cinese e a Sun Yat-sen, mentre altre, come il Tibet o la Mongolia esterna, si proclamavano indipendenti. «Il Cielo aveva ritirato il mandato ai Qing»[1].

A questo punto della storia sono importanti tre date: il 25 agosto 1912, il 1° luglio 1921 e il 12 marzo 1925. Il 25 agosto 1912 Sun Yat-sen fondò il Kuomintang (Kmt), partito che, come si vedrà, si dimostrerà determinante nei rapporti tra Cina e Taiwan. Il 1° luglio 1921, invece, Mao Zedong e altri fondarono il Partito Comunista Cinese (PCC), mentre il 12 marzo 1925 morì Sun Yat-sen, sostituito alla guida del Kuomintang da Chiang Kai-shek, altro protagonista nei rapporti Pechino-Taipei. In un primo momento, il Kmt e il PCC fecero fronte comune. Considerati gli stretti legami tra il PCC e l’Unione Sovietica, era necessario per il Kuomintang avere in qualche modo un appoggio di una potenza straniera.

Tuttavia, ben presto i rapporti tra i due partiti si inasprirono fino a rompersi definitivamente. Nel 1927, infatti, Chiang Kai-shek si macchiò del massacro di Shanghai e represse nel sangue le rivolte contadine di Guangzhou. Chiang Kai-shek riuscì così ad unificare quasi tutto il Paese, rivendicando il possesso su tutti i territori controllati dalla dinastia Qing – compresa Taiwan, di cui fu ripreso il controllo nel 1945. Accentrò nel Consiglio di Stato, presieduto da lui, i cinque poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario, inquirente e di controllo. Il 1° agosto 1927 il PCC aveva formato l’Armata Rossa, per difendersi dagli attacchi di Chiang Kai-shek e del Kuomintang che, intanto, necessitando di un sostegno di una potenza, ottennero l’appoggio di Stati Uniti e Regno Unito.

La risposta del Partito Comunista Cinese non si fece attendere. Mentre il Giappone invadeva la Manciuria, il 7 novembre 1930 il PCC aveva fondato la Repubblica Sovietica Cinese. Primo Ministro Mao Zedong. La guerra civile, a quel punto, era incominciata. Gli scontri, però, divennero drammaticamente violenti dopo la capitolazione del Giappone il 9 settembre 1945. Nel 1947, i nazionalisti guidati da Chiang Kai-shek, con l’aiuto statunitense, organizzarono numerose offensive su larga scala in tutto il Paese, nonostante l’accordo siglato con Mao nel luglio del 1946 per ricostruire il Paese devastato dalla guerra con il Giappone. Ma i comunisti di Mao resistettero ovunque e, anzi, furono in grado di condurre a loro volta altre offensive.

Mao, forte della resistenza opposta, il 30 aprile 1948 emanò un appello con il quale convocò una conferenza con tutti i leader dei principali partiti e i rappresentanti della società civile cinese. L’appello riscosse grande successo e, dopo che Chiang Kai-shek tentò un’ultima offensiva a gennaio del 1949 – soffrendo pesantissime perdite – la conferenza si riunì a Pechino a fine settembre dello stesso anno. Il 1° ottobre 1949 Mao dichiarò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. I nazionalisti guidati da Chiang Kai-shek, invece, fuggirono in massa a Taiwan. Vi si traferì tutto l’apparato istituzionale e si fondò la Repubblica di Cina, prosecuzione dello Sato istituito nel 1912 da Sun Yat-sen, anche se, almeno formalmente, Tokyo rinunciò a Taiwan soltanto nel 1951, con la firma del Trattato d San Francisco. Senza specificare però se Taiwan fosse parte della Cina o indipendente. Ad ogni modo, le strade della Repubblica Popolare e di Taiwan si erano (definitivamente?) separate.

4. Gli anni della legge marziale a Taiwan. Gli Stati Uniti comprendono l’importanza strategica dell’isola

Chiang Kai-shek instaurò sin da subito a Taiwan la legge marziale, che durò fino al 1987. Questo periodo non a caso è conosciuto come «era del Terrore bianco». Il regime di Chiang Kai-shek prima e poi del figlio Chiang Ching-kuo, che gli succedette alla sua morte, fu a dir poco autoritario. Specialmente le popolazioni indigene taiwanesi, all’epoca numericamente superiori rispetto ai cinesi etnici giunti a partire dal 1949, furono oggetto di violente oppressioni e repressioni. Gli autoctoni vennero privati dei diritti civili e politici; con lo scopo di assimilare e sinizzare i taiwanesi la lingua locale fu bandita e sostituita dal mandarino; le tensioni che nascevano tra la popolazione cinese e i taiwanesi indigeni venivano represse nel sangue, a scapito dei secondi; si stima che oltre cento mila persone siano state arrestate, torturate e anche condannate a morte perché si riteneva fossero contrari al Kuomintang e vicini al PCC.

Nonostante l’attenzione del Kuomintang fosse concentrata sulla repressione del dissenso e sulla sinizzazione della popolazione autoctona, negli anni ’60 e ‘70 il governo di Chiang Kai-shek favorì un rapido sviluppo dell’economia dell’isola. Forte anche delle infrastrutture lasciate da Tokyo, l’economia di Taiwan venne orientata verso una produzione industriale tecnologica. Nei primi anni ’70 Taipei divenne la seconda economia asiatica con la crescita più rapida dopo il Giappone – anche grazie agli aiuti americani, come quello da 4 miliardi di dollari del 1965.

Washington aveva ben compreso l’importanza strategica di favorire lo sviluppo di una Taiwan autonoma, da tenere ben vicina a sé e da difendere. Aiuti economici a parte, infatti, contestualmente allo scoppio della guerra di Corea (1950) il presidente Truman comandò l’invio della Settima Flotta nello Stretto di Taiwan. Era necessario dissuadere Mao dall’attaccare le isole Mazu e Quemoy, nelle immediate vicinanze della costa cinese, appena occupate da Chiang Kai-shek. Mao aveva come imperativo strategico la presa di Taiwan, solo che la presenza della flotta americana e l’erronea convinzione che le truppe statunitensi avrebbero invaso la Cina dalla Corea, portò il Presidente cinese a concentrare i suoi contingenti al confine con la Corea.

Le isole Mazu e Quemoy (o Kinmen) poco dopo furono protagoniste della prima crisi dello Stretto di Taiwan. L’Esercito popolare di liberazione, infatti, attaccò pesantemente e conquistò queste isole. A Washington si decise di non entrare in guerra contro la Repubblica Popolare, però non si poteva rischiare di perdere Taiwan. Pertanto, nel 1954 venne siglato un trattato di mutua difesa con Taipei che impegnava Washington a difendere l’isola in caso di attacco cinese – soltanto se questo fosse stato diretto contro Taiwan, non sarebbero state comprese le altre isole minori. Non solo, al fine di mettere in piedi una più credibile deterrenza nei confronti di Pechino, nel 1955 il Congresso americano votò in favore della Risoluzione di Formosa. Essa conferiva al presidente Eisenhower totale autonomia nella scelta di difendere Taiwan e stavolta anche le altre isole.

Mao, però, essendo ben consapevole dell’importanza di Taiwan e delle sue isole, nel 1958 era disposto a rischiare un conflitto diretto con Washington pur di impossessarsene. Dunque, bombardò gli arcipelaghi taiwanesi e preparò i propri uomini per lo sbarco, nonostante il Trattato di mutua difesa e la Risoluzione di Formosa siglate tra gli Stati Uniti e Taiwan. Washington decise di aumentare il proprio apparato difensivo per Formosa: inviò nuovamente la Settima Flotta nello Stretto di Taiwan, in questo caso dotata di bombardieri nucleari, e scortò tutte le navi di Taipei. Anche stavolta Mao fu costretto a desistere.


[1] G. E. Valori, Dalla Rivoluzione Cinese del 1911 all’esclusione dall’Onu (1949-1971), in www.formiche.net, 06/02/2022.

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