Il fronte delle sanzioni
“La nostra Unione sta mostrando un’unità di intenti che mi rende orgogliosa. Alla velocità della luce, l’Unione Europea ha adottato tre ondate di pesanti sanzioni contro il sistema finanziario russo, le sue industrie hi-tech e la sua élite corrotta. Stiamo scollegando le principali banche russe dalla rete SWIFT. Abbiamo anche vietato le transazioni della banca centrale russa. Questo chiuderà il rubinetto alla guerra di Putin”
È una Presidente von der Leyen che non le manda certo a dire quella che si è presentata alla plenaria specialmente convocata a Bruxelles per discutere della situazione in Ucraina. Sfoggiando orgogliosa i frutti della coordinazione svolta tra i principali Paesi Membri, ha ribadito la via delle sanzioni come arma di dissuasione adottata dall’Unione per distendere il conflitto ai suoi confini orientali. Affianco alle sanzioni, la svolta degli ultimi giorni consiste nella decisione di sostenere direttamente le iniziative militari ucraine, portando ad una cifra prossima al miliardo l’ammontare di aiuti in forniture alle forze armate. A ciò si aggiungono misure di carattere militare (divieto di sorvolo dello spazio aereo UE per i velivoli russi) e le sanzioni di carattere individuale. Già il 25 febbraio si era deciso per il congelamento dei beni posseduti in istituti finanziari dell’Unione e limitazioni allo spostamento di Vladimir Putin e Sergey Lavrov (ministro degli Esteri della Federazione Russa). Affianco a loro due, altre 680 persone e 53 entità sono state bersaglio di restrizioni di carattere individuale almeno fino al 15 marzo. Parallelamente, cominciano anche a colpire timidamente la Bielorussia di Lukashenko.
Quanto alle sanzioni economiche, le misure variano a seconda che il destinatario siano le regioni ucraine contese o la Russia. Per le prime (Crimea a partire dal 2014 e più recentemente Donetsk e Luhansk) si fa divieto ai cittadini dell’UE e alle imprese con sede nell’UE di importare beni o di effettuare investimenti in infrastrutture o settori economici strategici, di prestare servizi turistici o esportare alcuni tipi di tecnologia.
Le sanzioni alla Federazione Russa costituiscono un capitolo distinto: alle preesistenti restrizioni all’accesso al mercato dei capitali ed al commercio di armi e tecnologie del settore aeronautico e spaziale, si aggiungono divieti di operazioni con la Banca centrale russa e il divieto assoluto di accesso ai mercati finanziari e dei capitali Ue per le banche e le società russe.
Obiettivi ed effetti auspicati
Il colpo più duro è tuttavia incarnato dall’extrema ratio: l’esclusione delle banche russe dal circuito SWIFT. Chiudere questo sistema universale di pagamenti internazionali va nella direzione intrapresa dalla Commissione Europea di “ostacolare la macchina di guerra e propaganda ed erodere l’economia russa” bloccando le transazioni finanziarie e quindi gli ingranaggi commerciali dell’import-export. Studiando i casi in cui le vittime erano Iran e Venezuela, l’ex ministro delle Finanze russo Kudrin aveva stimato già nel 2014 un conseguente calo del Pil del 5% annuo, ma il rischio boomerang rimane elevato.
Nell’era della globalizzazione più sfrenata, infatti, i legami occidentali con il commercio russo ne escono indeboliti e senza alternative disponibili possono causare difficoltà produttive pesanti. Su tutti, la Germania ha già dovuto rinunciare al progetto del Nord Stream 2, e le intenzioni di tagliare il cordone ombelicale, rinvigorito negli anni con Merkel e Schröder, obbligano Berlino a trovare nuovi partner energetici. Obbligo che condivide tutta l’Europa, che cerca il gas algerino ed allo stesso tempo una strategia credibile per diversificare le fonti di approvvigionamento senza creare squilibri per le proprie industrie.
Sul piano energetico come su quello finanziario è poi impensabile che il Cremlino non abbia previsto ritorsioni prima dell’invasione del territorio ucraino e, infatti, i timori che Mosca e Pechino siano pronti non solo a rafforzare le relazioni commerciali, ma anche a disporre di una piattaforma alternativa e concorrenziale allo SWIFT, crescono all’allungarsi del conflitto.
L’efficacia delle sanzioni è correlata strettamente al loro bersaglio. Far pagare ai civili una decisione di regime non aiuta nessuna delle parti, invece colpire la cerchia dei potenti oligarchi può destabilizzare gli equilibri interni al regime che sembra stiano iniziando a vacillare, sfuggendo alla propaganda putiniana. Dei primi quattro magnati che cavalcarono l’onda privatizzatrice di Eltsin è rimasto solo Mikhail Fridman, creatore della maggiore banca privata russa e al suo attuale controllo. Il suo allontanamento dalla cerchia del Presidente russo non è certo questione degli ultimi giorni; tuttavia, l’avversione di buona parte della élite russa ad un bagno di sangue percepito come inutile e contrario ai propri interessi è palpabile, ne è un illustre esempio la presa di distanza del re dell’alluminio Oleg Deripaska. Nel frattempo, Abramovich ha dovuto formalmente rinunciare alla storica proprietà dei blues londinesi: è difficile capire se gli equilibri interni dei più potenti finanziatori di Putin siano cambiati e se la bilancia tra falchi guerrafondai e colombe diplomatiche riuscirà a pendere nettamente dalla parte migliore, la seconda.
Deterrente o boomerang?
Così la disperazione dei soldati russi al fronte, costretti a imbarazzanti spinte di carrarmati rimasti a secco e saccheggiamenti degli alimentari per affrontare la fame, si mescola con le immagini dei civili in patria. Questi, quando non hanno quella buona dose di coraggio necessaria per protestare nelle piazze russe sapendo della buona probabilità di essere presi alle spalle dalla polizia, in silenzio aspettano il proprio turno in interminabili code ai bancomat delle proprie banche. La Borsa di Mosca teme la svendita al ribasso e sceglie di non aprire da tre giorni, posticipando il giorno in cui, riaprendo i battenti, perderà inevitabilmente immense risorse finanziarie. Il Rublo intanto continua a perdere bruscamente valore.
Questi sono i primi, almeno iniziali, segnali dell’efficacia dei pacchetti di sanzioni dell’Occidente, che spera di minimizzare per quanto possibile l’effetto boomerang.
UE compatta: entra nel mondo multipolare per cui lotta Putin?
Puntando verso la capitale Kyiv, Putin va oltre la giustificazione della protezione della minoranza russa nel Donbas nell’intera Ucraina orientale, e mira a destabilizzare una Unione Europea che non appariva nel suo miglior stato di forma: i postumi del Brexit, l’avvento delle elezioni francesi, la strana maggioranza italiana e la nuova cancelleria tedesca componevano un telaio di elementi che, assieme alla fragile popolarità di Biden alle prese con la contestazione dei filo-Trump, hanno convinto Putin ad accelerare e ad approfittare delle divisioni dell’Occidente.
Se questo era l’obiettivo, per ora può dirsi mancato. Forse anche per merito del potere mediatico di un coraggioso Zelens’kyj, la comunità europea ha agito compatta e i piccoli vacillamenti (tra tedeschi, francesi e italiani per SWIFT e beni di lusso) sono stati risolti in poco tempo, spingendo sempre più in alto il livello delle sanzioni verso il Cremlino.
Forte simbolo di un’Ucraina che non demorde nonostante l’aggressione e le frettolose minacce nucleari è la firma della richiesta di adesione all’Unione Europea, che, seppur altamente improbabile, ha un enorme valenza simbolica e dimostra che a cercare un rifugio sicuro per esprimere la propria identità non sono solo i civili ucraini ma l’intero Paese.
Intanto, per le strade ucraine, le sirene, le esplosioni, gli edifici civili distrutti, l’esodo verso le frontiere occidentali e la forte resistenza popolare diventano malauguratamente una triste abitudine.