Copertina

Winter is coming. Il dibattito sul prezzo del gas

Durante questa estate, per il nostro paese un po’ atipica, si sta parlando praticamente solo di gas. Il prezzo del metano aveva già cominciato ad aumentare dopo il primo lockdown, a seguito dell’immediato aumento della richiesta di energia, ma dopo l’invasione russa dell’Ucraina la questione è precipitata. La scorsa settimana siamo arrivati per la prima volta ad un prezzo di 300 euro al megawattora; nel 2021, nello stesso periodo, il gas costava circa dieci volte meno.

Negli ultimi mesi si è impiegato il più grande sforzo di sempre, nella storia del nostro paese, verso la ricerca di alternative al gas naturale di provenienza russa a seguito delle sanzioni. Questo è l’insieme delle fonti italiane di approvvigionamento dell’energia, datate 2021, da cui partire:

Come sta reagendo la Russia?

Nonostante si stia discutendo molto sul risultato delle sanzioni europee alla Russia – ultimo fra tutti il palesato disaccordo tra Meloni e Salvini nell’incontro a Cernobbio – dall’inizio della guerra non stiamo più vedendo dati provenienti dalla Banca centrale di Russia e dal Rosstat. Sicuramente l’Europa sta pagando a caro prezzo l’iniziativa dell’esclusione della Russia dal mercato, ma Putin si trova ormai isolato e costretto a volgere lo sguardo altrove, verso economie meno solide della nostra.

Il discorso non vale soltanto per l’export: per poter portare avanti il conflitto il Cremlino ha dovuto iniziare già da tempo ad acquistare droni dall’Iran. Più di recente ha anche stipulato un accordo commerciale con la Corea del Nord, che andrà a fornire al paese proiettili e artiglieria di vario genere. L’impatto delle sanzioni europee risulta ancora molto sfumato e la Russia si sta mostrando più resiliente del previsto. A causa dell’enorme aumento del prezzo del gas ad oggi i proventi delle esportazioni di energia del paese si attestano al 38% in più rispetto allo scorso anno.

Come si decide il prezzo del gas?

Quando si definisce “volatile” il prezzo del gas, con un uso delle parole particolarmente adeguato al tema, s’intende che questo viene calcolato all’interno di una borsa molto piccola, il Ttf (Title Transfert Facility), essendo quindi molto soggetto a oscillazioni. All’interno di questa borsa vengono venduti contratti che stanno a indicare il futuro prezzo della materia prima per una quantità e dei tempi prestabiliti, che sono abbastanza brevi. Si sta sostanzialmente parlando di continue scommesse sul futuro che ci forniscono solo dei dati di riferimento, è poi su questi dati che l’Europa si basa per calcolare i prezzi.

Ciò che i cittadini si trovano però a pagare, nei fatti, è invece dettato dai contratti lungo termine che vengono di volta in volta stipulati tra i fornitori e le varie aziende. In Italia, l’ente che acquista dalla Gazprom russa dettando la legge sul prezzo è l’Eni, ma si parla di aziende private e quindi i dati rimangono perlopiù chiusi.

La questione del price cap

In una recentissima intervista davanti ad un gruppo di quotidiani europei, la presidente della Commissione europea von del Leyen si è detta convinta della necessità di fissare un tetto europeo al prezzo del gas:

“Putin sta manipolando il nostro mercato energetico e usando le forniture di gas come arma. Il suo giochetto cinico è per noi un test di unità e solidarietà”

Non ci sono ottime probabilità che la Russia riesca a trovare nel breve periodo nuovi clienti che possano acquistare il metano via gasdotto, una decisione condivisa da tutti i paesi dell’eurozona impedirebbe a Putin di avere voce in capitolo. È prevista per venerdì una riunione straordinaria dei ministri europei finalizzata al raggiungimento di un piano sulla crisi: si parlerà dell’introduzione del tetto al prezzo della materia prima fino a degli interventi diretti sulla Piazza del gas di Amsterdam, il Ttf. Sarà discussa anche l’ipotesi della creazione di un prezzo massimo per la cosiddetta “zona rossa”, costituita dai paesi più esposti ai tagli delle forniture russe, tra cui figura anche l’Italia.

Quando si tratta, invece, di un tetto a livello nazionale il discorso diventa molto meno chiaro. La proposta di introdurlo sta arrivando ad esempio da vari esponenti del Partito Democratico, ma è necessario sottolineare che nel caso in cui il prezzo amministrato diventasse inferiore a quello nazionale sarà necessario andare a rimborsare la differenza. Quello di cui staremmo parlando, in un tale scenario, non sarebbe più tanto di un price cap quanto di un sussidio statale, che implicherebbe un futuro aumento del debito pubblico.

L’ipotesi rigassificazione

L’Europa è piuttosto divisa sul tema, ma rigassificare rimane l’ipotesi più accattivante: ci permetterebbe di aumentare di molto l’acquisto di gas via nave sfruttando la disponibilità di paesi come il Qatar o gli Stati Uniti. Attualmente in Italia abbiamo tre rigassificatori: uno in mare (off shore) al largo di Porto Viro, uno sulla terraferma (on shore) a Panigallia e una nave ancorata al fondale, che è un ibrido tra le due tipologie, tra Livorno e Pisa.

La proposta che sta facendo discutere ogni frangia della politica, come anche il WWF, nelle ultime settimane è quella di aggiungere un’altra nave galleggiante a Piombino. La città è stata scelta, all’epoca dell’accordo, perché a seguito del naufragio della Costa Concordia la banchina della città era stata interamente ricostruita per poter smontare la nave. Si era previsto un utilizzo della struttura per massimo tre anni e, ad oggi, nel nostro paese non ci sono scelte migliori; l’unica sede che permetterebbe di avere un impianto immediatamente funzionante è questa. Avere un rigassificatore in più non è sicuramente la panacea per la crisi economica, ma sarebbe d’aiuto per poter utilizzare tutto il gnl che l’Italia sta, peraltro, già acquistando.

Il rigassificatore galleggiante Golar Tundra di Piombino, valso 330 milioni di euro stanziati dal governo Draghi con l’obiettivo di utilizzare il gnl in arrivo dagli Stati Uniti.

Chi otterrà un beneficio dal cambiamento di fornitori?

Oltre all’attuale ma effimera positività del mercato russo, il primo paese a trarre beneficio dalla crisi energetica è stato la Cina. Tramite l’incontro in videoconferenza di due giorni fa tra l’amministratore delegato di Gazprom Alexey Miller e il presidente del consiglio di amministrazione della China National Petroleum Corporation Dai Houliang si è giunti a un accordo per il pagamento in rubli e Yuan delle forniture che arriveranno tramite il gasdotto Sila Sibiry. “Una soluzione reciprocamente vantaggiosa, tempestiva, affidabile e pratica” ha affermato Miller. Pechino ha poi una bassa domanda interna ed è perciò riuscita ad ottenere anche il 7% delle importazioni di gas liquefatto in Europa: ogni nave porta alla Cina circa 100 milioni di dollari.

Vladimir Putin e Xi Jinping.

Anche gli USA hanno aumentato di molto la fornitura ai mercati europei: 15 miliardi di metri cubi di gnl in più rispetto allo scorso anno. I dati raccolti fino a giugno 2021 mostrano un’esportazione totale di 57 miliardi di metri cubi, dei quali 39 indirizzati solo verso l’Europa. Quasi al pari degli Stati Uniti abbiamo il Qatar, uno dei paesi con le più grandi riserve di metano liquido al mondo. Il piccolo emirato ha già firmato il progetto North Field East con cinque aziende tra cui Eni.

Per quanto riguarda gli affari interni, nel nostro continente il primo fornitore di gas è attualmente la Norvegia. Rispetto allo scorso anno Oslo ha potuto quadruplicare le esportazioni, guadagnando 12,8 miliardi di euro. Anche l’Olanda sta beneficiando della quotazione nel Ttf e ha raddoppiato i guadagni rispetto al 2021.

Ti potrebbero interessare