Le tappe della politica estera europea nel secondo Novecento
I concetti di politica estera, di difesa e sicurezza europea – argomenti tutt’oggi delicatissimi, che hanno attraversato momenti di maggiori difficoltà rispetto ad ogni altro ambito interno all’Unione europea – sono da far risalire direttamente alla nascita del progetto di integrazione che, nel secondo dopo guerra, vide la creazione della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca), della Comunità europea per l’energia atomica (Ceea) e, in seguito, della vera e propria Comunità economica europea (Cee). Nei primissimi anni Cinquanta lo “scoppio” della Guerra fredda diede l’impulso per la creazione di un ambizioso progetto di un sistema difensivo comune a livello europeo. L’avvio della Guerra di Corea, infatti, pose agli Stati Uniti il problema di mobilitare un importante numero di contingenti dal suolo della Germania Ovest alla penisola coreana per fronteggiare l’invasione della parte comunista del paese. Dal punto di vista europeo la smobilitazione militare statunitense poneva un problema non di poco conto, soprattutto per la Francia, per l’equilibrio che si andava consolidando dalla fine del conflitto bellico, poiché la “ritirata” americana avrebbe dovuto prevedere un progressivo riarmo tedesco. È, perciò, in questo ambito che emerse il cosiddetto “Piano Pleven” (dal nome dell’allora Primo Ministro francese anche se, come avvenne per il Piano Schuman, l’ideatore fu Jean Monnet), presentato il 24 ottobre 1950 all’assemblea nazionale francese, il quale avrebbe previsto la creazione di forze armate comuni sotto il controllo di un Ministro della difesa europeo1, in modo da evitare un possibile ingresso della Germania all’interno del Patto atlantico. Una struttura di tale portata e ambizione non si sarebbe potuta reggere, tuttavia, senza una controparte politica. Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli – due eminenti padri dell’integrazionismo europeo – spinsero, infatti, affinché, all’interno del trattato per la stipulazione della Comunità europea di difesa (Ced) ci si muovesse verso la creazione di un’autorità politica integrata. In questa direzione si arrivò il 10 marzo 1953, quando venne approvata la redazione di un progetto di Comunità politica europea (Cpe) dell’Assemblea presieduta da Paul-Henri Spaak. La Comunità politica sarebbe stata costituita da un assetto istituzionale caratterizzato da un parlamento bicamerale, un Consiglio esecutivo (un vero e proprio “governo europeo”), una Corte di giustizia e un Consiglio economico e sociale2. Il grandioso progetto politico-militare della Ced, tuttavia, si arenò nel 1954. Nonostante l’approvazione – tra il 1953 e il 1954 – e la ratifica del parlamento tedesco, belga, olandese e lussemburghese, lo stallo che si verificò in Francia fu fatale per il fallimento del programma. La delusione fu alta, specialmente negli ambienti “federalisti”, soprattutto se si analizza la frammentazione della politica estera europea al giorno d’oggi il rimpianto per quello che avrebbe potuto costituire una comunità di difesa e politica comune, insieme ad un’integrazione economica, lascia molta amarezza. Dopo l’abbandono del progetto della Ced si cercò comunque una soluzione alternativa e venne rispolverato il Trattato di Bruxelles3, al quale fu aggiunto un protocollo ad hoc per permettere anche a Germania e Italia di entrare a far parte dell’Unione europea occidentale (Ueo). Il proposito di allargamento dell’Ueo, ovvero cercare di sostituire la fallita Comunità europea di difesa, non provocò, tuttavia, gli esiti sperati. La piccola assemblea parlamentare – composta da delegati nazionali – era vista come un interessante luogo di confronto in cui era prevista la presenza della Gran Bretagna (all’epoca ancora esclusa dal processo di integrazione europea), ma dal punto di vista militare l’Ueo risultò pleonastica, a causa della presenza della Nato e dalla sovrapposizione dei ruoli e delle incombenze di tali istituzioni.
La fase successiva fu caratterizzata dalla preparazione del Trattato di Roma (1957) e dall’ingresso in scena di uno dei personaggi politici più importanti – non sempre in chiave positiva – per la storia dell’integrazionismo europeo e per la storia della politica estera europea, ovvero Charles De Gaulle. Il presidente francese fornì una visione contraddittoria del processo di integrazione comunitaria. Il suo desiderio di un’Europa capace di confrontarsi alla pari con Stati Uniti e Unione Sovietica si scontrava con un approccio politico basato sulla consapevolezza che la piena sovranità appartenesse alle singole autorità statali. Questa ambiguità è stata alla base dell’approccio francese al processo di integrazione europea fino all’uscita di scena di De Gaulle e, inoltre, ha contribuito in maniera importante all’odierna visione di una politica estera europea, caratterizzata da forti contrasti interni e ricca di contraddizioni4. De Gaulle si mosse, perciò, verso la direzione opposta a quella delle istituzioni comunitarie, cercando un dialogo più marcato e diretto con i singoli membri secondo una concezione “confederale”. È in quest’ottica che è da analizzare la proposta della Commissione Fouchet di istituire un’unione politica dei sei paesi membri e fondatori della Cee. Tale nuovo sistema istituzionale avrebbe dovuto prevedere un Consiglio composto dai capi di Stato e di Governo5, oppure dai ministri degli esteri, un’Assemblea parlamentare, i Comitati dei ministri dell’istruzione e della difesa e una Commissione esecutiva. Questa istituzione, infatti, non occupandosi di ambiti economici (materia lasciata alla competenza della Cee), avrebbe rivolto la propria attenzione a questioni di politica estera, di difesa e culturali. L’ideazione del progetto francese si arenò, tuttavia, a causa dello stesso De Gaulle, il quale decise di ritrattare alcune concessioni fatte agli altri stati membri per l’adozione del piano. La causa principale di tale fallimento, tuttavia, era legata all’ingresso della Gran Bretagna all’interno della Cee. Olanda e Belgio, infatti, non avrebbero accettato la proposta francese finché De Gaulle non avesse sciolto ogni riserva sull’apertura della comunità a Londra6. Anche se il progetto dei Piani Fouchet fosse stato approvato, Francia, Italia, Germania e Benelux si sarebbero trovate dinnanzi a un duplice livello istituzionale europeo. Da un lato, infatti, esisteva la «linea Monnet-Schuman» contraddistinta dalla Ceca, Ceea e Cee, mentre, dall’altro, il «disegno di una Confederazione di Stati7» ad opera di De Gaulle. Risulta difficile immaginare, perciò, come sarebbero potute sopravvivere due realtà politiche all’apparenza tanto inconciliabili.
L’uscita di scena di De Gaulle – nel 1969 – corrispose a una nuova fase del processo di integrazione europea e del difficile tentativo di delineazione di una politica estera comune. Il nuovo presidente francese, Georges Pompidou, colse l’occasione per riproporre l’idea di riunioni periodiche dei ministri degli esteri nell’ambito della politica estera europea. Questo progetto, grazie all’impulso emerso dal Vertice dell’Aia (dicembre 1969), venne implementato da una Commissione ad hoc guidata dal belga Etienne Davignon, la quale produsse il cosidetto “Rapporto Davignon” nell’anno successivo. Tale documento stabiliva regolari incontri tra i diversi ministri degli esteri, eventuali incontri fra i capi di Stato e di Governo e regolari consultazioni in materia di politica estera tra gli stati membri. Quella che dal Rapporto Davignon emerse come una «Cooperazione politica europea8» ebbe una duplice rilevanza. Da un lato, venne ufficialmente istituzionalizzato il principio di consultazione nell’ambito della politica estera europea, mentre dall’altro, venne superata definitivamente l’idea guallista di creare un’istituzione parallela a quelle comunitarie in ambito di politica estera.
In questa breve introduzione alla storia della politica estera europea non può passare inosservata l’importanza della Dichiarazione di Venezia (12-13 agosto 1980). Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, nonostante la Cee si fosse divisa al proprio interno a partire dalla Guerra dei sei giorni (1967), il successivo conflitto del Kippur, nel 1973, favorì l’approvazione di una dichiarazione comune a favore della legittimità dei diritti palestinesi. Questa visione venne ripresa nella sovra menzionata Dichiarazione di Venezia che – cronologicamente successiva agli accordi di pace di Camp David (1977-1979) – affermava il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e la necessità di includere anche l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) all’interno dei citati accordi di pace. Si trattò di un evento determinante, poiché fu la prima volta che la Comunità europea – allora composta da nove stati membri – arrivò a pronunciare una dichiarazione congiunta in materia di politica estera di tale rilevanza, soprattutto se si considera la posizione che sulla vicenda ha da sempre assunto il partner statunitense.
Gli anni Ottanta, che si aprirono con la Dichiarazione di Venezia, furono molto prosperi per quanto riguardava il processo di creazione e sviluppo di una politica estera europea, poiché il 1° luglio 1987 entrò in vigore l’Atto unico europeo, ovvero la prima grande riforma del Trattato di Roma, il quale ebbe un impatto non indifferente – ma ancora una volta non decisivo – per quanto riguarda l’azione esterna della Comunità. Vennero, innanzitutto, codificate le figure del Consiglio europeo (tenutosi per la prima volta a Parigi nel dicembre del 1974) e della Cooperazione politica europea. Oltre all’esplicito riferimento alla volontà da parte dei membri di «definire e attuare in comune una politica estera europea9» vennero introdotte importanti novità. Per esempio l’impegno «ad informarsi reciprocamente e a consultarsi in merito ad ogni problema di politica estera e di interesse generale, per assicurare che [l’influenza] congiunta si eserciti nel modo più efficace attraverso la concertazione, la convergenza delle […] posizioni e la realizzazione di azioni comuni10». Per la prima volta, inoltre, vennero indicato – al di fuori del contesto della Nato e dell’Unione europea occidentale – assunti riguardanti la politica di sicurezza, anche se una vera e propria organizzazione istituzionale nell’ambito della sicurezza comune non rappresentava la misura più urgente da adottare secondo i paesi membri della Cee11.
Il clima politico dal quale sorse il Trattato di Maastricht – il Trattato sull’Unione europea che sancì la nascita dell’odierna Ue – fu caratterizzato dall’euforia occidentale per la fine del comunismo sovietico, dalla vittoria delle liberal-democrazie e dalla cosiddetta “fine della storia”. Il processo di riunificazione tedesca e di democratizzazione dell’Europa orientale segnarono, da un lato, un importante passo in avanti nel processo di integrazione europeo per gli anni a venire. Dall’altro lato, tuttavia, la Comunità europea dovette affrontare la Guerra del Golfo e, in seguito, il più drammatico conflitto del vecchio continente dalla fine della Seconda guerra mondiale, ossia le guerre jugoslave. Per quanto riguarda il conflitto del Golfo Persico, la Comunità diede prova di unità e di prontezza nella risposta, denunciando l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein – anticipando addirittura la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – e decidendo di imporre un embargo nei confronti dell’aggressore. Se dal punto di vista politico la risposta fu efficace non si poté dire lo stesso dal punto di vista emotivo. L’opinione pubblica, infatti, descrisse l’Europa come incapace di agire rapidamente e in maniera unita, soprattutto a causa della fermezza e unilateralità nelle decisioni operative del Presidente americano George Bush12. Il ruolo dell’Europa nell’ambito del conflitto nei Balcani e tutto ciò che esso comportò, invece, verranno analizzati più approfonditamente nella prossima uscita ad essi dedicati. In queste righe l’intento di chi scrive è quello di visionare brevemente il contesto internazionale e storico-politico che ha portato alle rilevanti innovazioni che – in materia di politica estera – sono contenute nel Trattato sull’Unione europea. Il Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° gennaio 1993, istituzionalizzò la Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) come secondo pilastro della nascente Unione europea (al fianco delle Comunità europee, primo pilastro, e del settore Giustizia e affari interni, terzo pilastro). Il Titolo V del Trattato, riguardante le disposizioni relative alla politica estera e alla sicurezza comune, sanciva all’articolo J.1 quali fossero gli obiettivi posti da Bruxells, ovvero «la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell’indipendenza dell’Unione […], il rafforzamento della sicurezza dell’Unione e degli Stati membri in tutte le sue forme […], [il] mantenimento della pace, [il] rafforzamento della sicurezza internazionale […], [la] promozione della cooperazione internazionale […], [lo] sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché [il] rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Dal punto di vista decisionale, invece, nel nuovo Trattato il Consiglio assunse il ruolo di guida nell’ambito della politica estera a pieno titolo, definendo i principi e gli orientamenti della visione politica dell’Ue nella sua azione esterna13. Per quanto riguardava, invece, la politica di sicurezza comune, essa comprendeva «tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione europea, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune» che avrebbe avuto come obiettivo quello di «condurre a una difesa comune14». Il rapporto che si sarebbe andato a determinare con l’Unione europea occidentale (in base all’articolo J.4.2, infatti, l’Unione poteva chiedere all’Ueo «di elaborare e di porre in essere le decisioni e le azioni dell’Unione aventi implicazioni nel settore della difesa») poneva considerevoli premesse per la creazione di una stabile organizzazione di difesa europea sotto il patrocinio della stessa Ueo e in relazione con la Nato15.
Sarà scopo di questa rubrica porre le premesse per comprendere le basi su cui si fonda l’azione – o inazione – della politica estera europea. Attraverso l’ausilio di analisi storiche, geopolitiche, casi studio e l’indagine sul ruolo delle istituzioni e dei protagonisti che hanno tentato, e tentano, di dare voce all’Unione europea proveremo ad esaminare e approfondire il ruolo di Bruxelles all’interno del dibattito delle relazioni internazionali, sempre più agitate, del ventunesimo secolo.
1Bindi F. e Angelescu I., The Foreing Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World, Washington, Brookings Institute Press, 2012 p. 12; Olivi B. e Santaniello R., Storia dell’integrazione europea. Dalla Guerra fredda ai giorni nostri, Bologna, il Mulino, 2015 p. 26
2Olivi B. e Santaniello R., Storia dell’integrazione europea. Dalla Guerra fredda ai giorni nostri, p. 27
3Il Trattato di Bruxelles, approvato nel 1948 su proposta del Presidente del Consiglio francese George Bidault, consisteva in un accordo di mutua difesa – firmato da Gran Bretagna, Francia e paesi del Benelux – nei confronti, apparentemente della Germania, ma più realisticamente dell’Unione sovietica.
4Bindi F. e Angelescu I., The Foreing Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World, p. 14
5Sebbene i cosiddetti “Piani Fouchet” non abbiano trovato una realizzazione concreta, sono ricordati per l’influenza che determinate proposte ebbero nello sviluppo istituzionale europeo dei decenni successivi. In questo caso, l’idea di un Consiglio di capi di Stato e di Governo rappresentava il precursore dell’odierno Consiglio europeo.
6Olivi B. e Santaniello R., Storia dell’integrazione europea. Dalla Guerra fredda ai giorni nostri, p. 43
7Ibidem, p. 42
8Bindi F. e Angelescu I., The Foreing Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World, p. 17
9Art. 30.1, Atto unico europeo
10Art. 30.2a, Atto unico europeo
11Olivi B. e Santaniello R., Storia dell’integrazione europea. Dalla Guerra fredda ai giorni nostri, p. 151
12Ibidem, p. 169
13Art. J.8.2, Tratto sull’Unione europea
14Art. J.4, Trattato sull’Unione europea
15Bindi F. e Angelescu I., The Foreing Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World , p. 25