Tobia Ravà quadro

Perché chi conta conta

Come il numerare può diventare un’arma politica

In una notte silenziosa, i cacciatori si riuniscono intorno al fuoco per raccontare una tragica vicenda. Uno dei loro compagni è stato sbranato dai lupi e per onorare la sua memoria e aiutarlo a passare nell’aldilà, viene organizzata una cerimonia religiosa. Durante la cerimonia, l’arrivo di persone in sequenza, per primo lo sciamano, per secondo il capo tribù e per terzi gli anziani è tracciato scalfendo degli ossi: nasce il conteggio.

Contare significa creare una corrispondenza biunivoca tra due insiemi. Quando si conta si collega ad ogni oggetto del gruppo che ci interessa numerare (pecore, persone, viveri) un oggetto di un altro insieme. Nel paragrafo sopra, gli indigeni sfruttavano le incisioni su degli ossi animali come elementi del secondo insieme. Gli studiosi individuano due possibili origini del conteggio: o serviva a risolvere problemi pratici o a ordinare cerimonie religiose – numeri cardinali (uno, due, tre…) contro numeri ordinali (primo, secondo, terzo …). Gli studi antropologici validano la seconda ipotesi, anche se non ampiamente accettata dagli storici della matematica. Questa teoria implicherebbe che l’arte del contare abbia avuto origine unica, per poi diffondersi nelle altre regioni del globo.

Il termine contare viene usato per numerare elementi similari. Si contano gli alberi, cinque alberi; si contano i giorni, venti giorni. All’origine del conteggio vi è la consapevolezza che esistono somiglianze di numero e forma. Per di più, anche le differenze rimandano a somiglianze: il contrasto tra un solo lupo e un branco, tra un albero e una foresta e tra una pecora e un gregge suggerisce che un lupo, un albero e una pecora abbiano qualcosa in comune: la loro unicità. Questo riconoscimento di una proprietà astratta che certi gruppi hanno in comune, e che chiamiamo numero, rappresenta un primo fondamentale passo verso la matematica.

Se chiediamo ad una persona matematicamente analfabeta di indicare il numero a metà tra l’1 e il 10, molto probabilmente, risponderà 3 oppure 4. Questo accade perché siamo guidati dalla percezione logaritmica, anziché lineare, dei nostri sensi: aggiungere un’unità al conteggio è percepito come un aumento di magnitudine variabile a seconda del numero di unità già contate. Ad esempio, percepiamo una grande differenza tra spendere 5€ e spenderne 10€, ma ci sembra cosa indifferente distinguere tra 1.000.000€ e 1.000.005€.

Nel 1860, il fisiologo e anatomista tedesco Ernst Heinrich Weber studiò con metodo sperimentale la relazione tra la portata fisica di uno stimolo e la percezione umana dell’intensità dello stimolo stesso. Gustav Fechner matematizzò la relazione di Weber, p = k log( S ). Tale espressione può essere così interpretata: se, 0
ad esempio, l’intensità dello stimolo è ripetutamente triplicata, la nostra percezione della sua variazione sarà comunque sia di tipo additivo. Ossia, moltiplicare l’intensità per 3, porterà ad una percezione doppia (1+1); triplicarla nuovamente porterà ad una percezione tripla (1+1+1) anziché nonupla!

Di conseguenza, deve essere di nostro interesse sondare il modo in cui il sapere matematico influenza la nostra percezione del mondo, e di riflesso, il modo in cui il mondo viene amministrato e il potere gestito. Il numerare facilita la percezione lineare e presuppone scelte fondamentali.

Un esempio concreto di come il conteggio (la statistica) abbia influenzato la politica risale alla fine del XIX secolo quando gli stati europei inclusero nei rispettivi censimenti nazionali un quesito riguardante la “lingua parlata” allo scopo di calcolare il numero di cittadini all’interno dei confini statuali. Ovviamente, anche se la nazionalità è troppo complessa per essere stabilita sulla base della sola lingua parlata, essa costituiva l’unico dato della nazionalità che poteva essere oggettivamente registrato e contabilizzato. Tale scelta causò una politicizzazione della lingua, esacerbando lo spirito nazionalistico dei popoli europei e costringendo i cittadini non solo alla scelta di una nazionalità, bensì di una nazionalità linguistica. Quindi, le esigenze tecniche dei giovani stati amministrativi europei del XIX secolo sollecitarono l’affermazione del nazionalismo anche tramite il semplice atto di contare. Il conteggio non va concepito come una rappresentazione oggettiva e precisa della realtà, poiché esso opera sulle differenze/somiglianze tra oggetti e perciò sulla base di categorie socialmente costruite e dunque potenzialmente influenzate da pregiudizi e/o interessi politici.

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