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Il Trattato di Lisbona e la nomina di Catherine Ashton

Come cambia e si evolve la politica estera europea dal 2008

Il processo di riforma istituzionale dell’Unione europea aveva subito, all’inizio degli anni Duemila, un brusco arresto con la bocciatura referendaria – da parte dei cittadini francesi e olandesi – del testo costituzionale europeo (2005). La maggior parte delle innovazioni presentate nel Trattato costituzionale vennero, ad ogni modo, riprese e rielaborate nel successivo Trattato di Lisbona. In sostanza, si decise di abbandonare la retorica costituzionale – che avrebbe potuto portare a una svolta federativa dell’Unione – per una riforma di minore impatto ideologico-comunicativa. Nonostante ciò, le riforme non furono di poco conto. Le innovazioni principali furono l’attribuzione all’Ue di personalità legale – precedentemente riferita solamente alla Comunità europea – e il superamento della struttura istituzionale dei pilastri introdotta dal Trattato di Maastricht. Ciò che creava un qualche turbamento era il fatto che le disposizioni relative alla Politica estera e di sicurezza comune erano incluse nel Trattato sull’Unione europea (Tue), mentre nel Trattato sul funzionamento europeo (Tfue) si trovavano tutte le altre politiche comunque associate all’idea di azione esterna come, ad esempio, la politica commerciale e la cooperazione allo sviluppo1. Le nozioni principali di politica estera all’interno del Tue erano rintracciabili nella prima sezione del Titolo V del Trattato, denominato «disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune». L’articolo 24, per esempio, faceva riferimento nel primo paragrafo alla competenza dell’Unione nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) e in «tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune». Nel secondo paragrafo, invece, il testo specificava le competenze e l’organizzazione gerarchica. Essa era «definita e attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio […] e messa in atto dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e dagli Stati membri in conformità dei trattati»2.

Un’ulteriore innovazione emersa dal Trattato di Lisbona fu il cosiddetto double hat dell’Alto rappresentante, ovvero il doppio ruolo che avrebbe assunto la succeditrice di Solana, Catherine Ashton. Alle mansioni dell’Alto rappresentante per la Pesc vennero accorpati i compiti svolti, sino a quel momento, dal commissario per le relazioni esterne, attribuendogli, in aggiunta, il titolo di Vicepresidente della Commissione. Secondo il nuovo ordinamento comunitario l’Alto rap-presentante sarebbe stato nominato dal Consiglio a maggioranza qualificata, con l’approvazione da parte del Presidente della Commissione. Tale procedura di nomina anticipava l’essenza – per così dire – ibrida del ruolo all’interno delle differenti istituzioni europee. Le responsabilità e l’autorità assunte dall’Alto rappresentante, infatti, variavano a seconda della materia affrontata. Se l’ambito d’azione riguardava materie di relazioni esterne – ovvero ciò che prima del Trattato di Lisbona sarebbe ricaduto nel primo pilastro – l’Alto rappresentante avrebbe dovuto agire seguendo il principio di collegialità, in quanto effettivo membro della Commissione, mentre nel caso si fosse occupato di Pesc – l’obsoleto secondo pilastro – l’Alto rappresentante avrebbe agito come esponente del Consiglio e, perciò, godendo di un proprio diritto di iniziativa. All’Alto rappresentante, inoltre, fu affidata la presidenza del Foreign affairs council (Fac), con il compito – coadiuvato dal Servizio europeo di azione esterna – di attuare e garantire una politica estera il più coerente possibile in tutti i suoi numerosi aspetti3.

Da come si può evincere solamente dall’elenco di ruoli eseguiti e titoli attribuiti la posizione dell’Alto rappresentante è – o meglio, dovrebbe essere – una delle più rilevanti all’interno dell’organizzazione istituzionale europea, specialmente in un periodo storico in cui la sfida politica è e sarà incentrata sempre maggiormente sul carattere sovranazionale. Una considerevole difficoltà, di cui si continuerà a trattare in seguito, deriva dal fatto che l’Alto rappresentante, che dovrebbe guidare l’azione esterna europea, si trova in una condizione di impotenza, per la quale non possiede, per esempio, alcuna forma di autorità nei confronti dei commissari che si occupano di politiche commerciali, dell’allargamento o della cooperazione allo sviluppo (le altre tematiche entro cui si muove l’Ue nell’ambito delle relazioni esterne). La medesima situazione si verifica all’interno del Consiglio europeo. Nonostante la presidenza del Fac, con la quale l’Alto rappresentante dovrebbe provare a costruire una coerente politica estera, tale mansione potrebbe essere tranquillamente svolta dalla presidenza, a rotazione, del General affairs council.

Dal punto di vista procedurale e del decision making il Trattato di Lisbona conservò quasi interamente le disposizioni concernenti il voto a maggioranza qualificata, mentre estese l’utilizzo della cooperazione rafforzata4. In base all’articolo 31 del Tue, il voto a maggioranza qualificata era consentito quando veniva adottata «una decisione che [definiva] un’azione o una posizione dell’Unione, sulla base di una decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell’Unione» oppure quando veniva adottata «una decisione che [definiva] un’azione o una posizione dell’Unione in base una proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest’ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell’Alto rappresentante» e, infine, quando venivano adottate «decisioni relative all’attuazione di una decisione che [definiva] un’azione o una posizione dell’Unione». A queste eccezioni si aggiungevano alcune deroghe speciali in ambito Pesc – non estremamente chiare – di cui gli stati potevano avvalersi per determinate decisioni come, ad esempio, nell’area di pronunce prese in specifici forum internazionali (Ocse) oppure in determinate materie (ad esempio, i diritti umani)5. Alle indicazioni sul voto a maggioranza qualificata andavano, tuttavia, in contrasto alcune disposizioni – sempre all’interno dell’articolo 31 – secondo le quali «se un membro del Consiglio dichiara che, per specificati e vitali motivi di politica nazionale, intende opporsi all’adozione di una decisione che richiede la maggioranza qualificata, non si procede alla votazione. L’alto rappresentante cerca, in stretta consultazione con lo Stato membro interessato, una soluzione accettabile per quest’ultimo. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, in vista di una decisione all’unanimità6».

Emergeva, perciò, l’idea che – nonostante le deroghe elencate nell’articolo 31 che attribuivano la possibilità di adottare decisioni attraverso la maggioranza qualificata – la regola rimaneva ancora quella dell’unanimità, a meno che l’argomento di discussione non trovasse una condivisione di ampio respiro o una debole rilevanza tale per cui gli stati membri non sentissero minacciata la propria sovranità.

La seconda sezione del titolo V faceva, invece, riferimento alle «disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune». Nel campo della difesa, ormai parte integrante della Pesc7, il Trattato di Lisbona introdusse – facendo riferimento ancora una volta dalle disposizioni del tramontato Trattato costituzionale – innovazioni non di poco conto. In primo luogo, venne ampliata notevolmente la portata dei già citati compiti di Petersberg. L’articolo 43, infatti, riprendeva questa disposizione, affidando all’Unione la possibilità di «ricorrere a mezzi civili e militari, comprendendo le azioni congiunte in materia di disarmo, missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti». Queste missioni potevano essere gestite in autonomia da un gruppo di stati membri – disposti a prendersene le responsabilità e con le dovute capacità – dopo l’affidamento da parte del Consiglio8. In secondo luogo, venne data la possibilità agli stati membri con maggiori capacità militari di dar vita ad una cooperazione strutturata permanente9 aperta a tutti gli stati membri che volessero migliorare la propria capacità difensiva o partecipare ad operazioni congiunte tramite apposite task force.

Il 2009 fu caratterizzato, oltre all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e dall’elezione del Parlamento europeo, dall’ampio rinnovamento delle più alte cariche istituzionali europee (il Presidente della Commissione e i relativi commissari e il Presidente del Consiglio). All’interno di tale quadro, perciò, vanno esaminate le modalità di selezione e nomina di Catherine Ashton come nuovo Alto rappresentante, soprattutto relazionandola a quella del Presidente del Consiglio, in quanto furono frutto di un mutuo influenzamento. Come spesso accade all’interno delle dinamiche di nomina degli organi istituzionali dell’Ue, i due maggiori partiti (il Partito popolare e quello Socialismo e democrazia) ricercarono un accordo affinché la rappresentanza dei propri membri fosse correttamente bilanciata. Fu deciso, dunque, che la presidenza del Consiglio sarebbe andata ad un esponente del centro-destra europeo e la posizione di Alto rappresentante a una figura provenienti dai ranghi della sinistra. I candidati per il ruolo che fu di Solana erano Frank-Walter Steinmeier, uscente ministro degli esteri tedesco; Miguel Angel Moratinos, ministro degli esteri spagnolo; Elisabeth Guigou, ex ministra degli affari europei francese; Alfred Gusenbauer, ex Cancelliere austriaco, Adrian Severin, ex ministro degli esteri rumeno e David Miliband, segretario degli esteri britannico. Per diverse ragioni nessuno dei presenti fu spinto ad accettare l’incarico o ritenuto all’altezza, tranne Miliband10. In realtà, anche lo stesso dirigente britanico non era interessato al ruolo, preferendo non lasciare la politica nazionale per un periodo – cinque anni di mandato – che lo avrebbe definitivamente escluso dalla corsa alla leadership del Partito laburista. In seguito al rifiuto da parte di Francia e Germania della candidatura di Tony Blair11 alla presidenza del Consiglio, alla Gran Bretagna spettò, secondo gli accordi, la nomina dell’Alto rappresentante e, perciò – oltre all’auto esclusione di Miliband e alla spinta del primo ministro spagnolo José Zapatero di nominare una donna– l’incarico di nuovo Alto rappresentante fu affidato a Catherine Ashton.

Come appena scritto Ashton non era sicuramente la prima scelta tra i papabili successori di Solana e la sua nomina fu frutto di una compensazione all’interno dello schieramento del centro-sinistra europeo. La sua designazione, insieme a quella di Herman Van Rompuy12 era inserita all’interno della strategia degli stati membri, la quale aveva l’intento di selezionare figure non di primo rango all’interno dei dicasteri più rilevanti (Presidenza e Affari esteri) in modo tale che essi potessero ancora ricoprire un ruolo di rilievo, a discapito, quindi, della coerenza e unità dell’Unione13. Catherine Ashton, nonostante non fosse molto nota nemmeno in patria, aveva servito con competenza l’Ue sostituendo nell’ottobre del 2008 il commissario per il commercio (Peter Mandel-son), facendosi così conoscere negli ambienti comunitari. La critica principale che ricevette, al momento della nomina, riguardava l’incompetenza in materia di politica estera14, soprattutto rispetto a Solana, il quale prima di assumere l’incarico europeo fu ministro degli esteri spagnolo per tre anni e Segretario generale della Nato per quattro15. I primi mesi di lavoro per Ashton non furono semplici a causa – oltre al clima di sfiducia che la circondava – della stessa Commissione europea. L’Alto rappresentante si dovette occupare, inizialmente, di dar forma al Servizio europeo di azione esterna, andando a scontrarsi con la nuova Commissione di José Barroso16, il quale decise di trasferire due sezioni della Direzione generale delle Relazioni esterne alle nuove Direzioni generali per l’azione per il clima e l’energia. Tale manovra non solo andava contro il principio di coerenza insito nel Trattato di Lisbona, ma avrebbe permesso alla Commissione di avere l’autorità su questi settori politici a discapito del Seae17.

Nonostante la figura dell’Alto rappresentante fosse tecnicamente la medesima, Solana e Ashton ricoprirono il ruolo in maniera molto differente, raggiungendo risultati spesso dissimili. Malgrado i limiti giuridici presenti nel Trattato di Amsterdam, Solana riuscì nell’intento di dare un volto alla politica estera europea grazie anche al fatto di potersi dedicare quasi esclusivamente alle missioni internazionali, lasciando l’organizzazione burocratico-amministrativa degli uffici in mano ai suoi fedeli civil servants. Ashton, invece, dovette assumere, oltre ai normali compiti dell’Alto rappresentante, anche la presidenza della Pesc e le incombenze che erano state sino a quel momento di competenza del commissario per le relazioni esterne. Quello che poteva essere visto positivamente, come la possibilità per l’Alto rappresentante di esprimere – finalmente – poteri di rilievo nell’ambito della politica estera dovette, tuttavia, scontrarsi con le aspettative dei differenti Stati e con la crisi economica in atto alla fine degli anni Zero18. Se da un lato la crisi costrinse gli stati a mettere da parte ogni sorta di ambizione internazionale per far fronte al risanamento dei propri bilanci nazionali, dall’altro, all’interno della stessa Ue (con il classico scontro tra paesi di piccola-media grandezza contro i membri più grandi e rilevanti anche in campo internazionale) non vi era convergenza sul ruolo che Ashton avrebbe dovuto assumere nel successivo quinquennio. Le principali divergenze riguardavano le aspettative rivolte alla neo Alto rappresentante. Da un lato, una prospettiva più ambiziosa vedeva in esso – essendo anche il Vice-presidente della Commissione – uno dei leader della politica estera, contribuendo – come indicato nell’articolo 18 del Trattato sull’Unione europea – alla formazione di proposte volte allo sviluppo della politica estera e di difesa; dall’altro lato, un’altra previsione considerava l’Alto rappresentante come una figura di mediazione tra i diversi obiettivi dei singoli attori statali19. Delle due visioni quella più realistica era sicuramente la seconda e, infatti, nella veste di intermediaria e pacificatrice Ashton riuscì a raggiungere obiettivi apprezzabili. L’Alto rappresentante non seppe ricoprire a pieno il titolo di Vicepresidente della Commissione durante il suo mandato a causa, come accennato, dell’ostruzionismo dello stesso Barroso. Quest’ultimo, solo per citare alcuni esempi, presiedette molto spesso di persona il gruppo di commissari per le relazioni esterne e nominò – avallando completamente Ashton – Joao Vale de Almeida come ambasciatore europeo negli Stati Uniti20. Barroso approfittò molto abilmente dell’inesperienza di Ashton nel campo della diplomazia e del vuoto di potere che Ashton lasciò nel suo primo anno di mandato, quando i suoi sforzi erano concentrati sulla definizione del Seae. Il primo anno alla guida dell’azione esterna dell’Ue fu per Ashton piuttosto scarno, come detto, anche a causa della crisi finanziaria che aveva messo da parte la politica internazionale nei discorsi pubblici. Tanto che Richard Gowan21 scrisse che Ashton avrebbe necessitato di una crisi internazionale per avere l’occasione di far valere la propria posizione politica all’interno dell’Unione e migliorare la propria reputazione22. Il desiderio di Gowan è stato ben esaudito dal 2011 in poi, quando l’Europa ha visto lo svilupparsi delle Primavere arabe e delle conseguenti guerre civili libica e siriana e, successivamente, dell’annessione russa della Crimea. I singoli casi verranno analizzati più approfonditamente nel corso dei prossimi numeri. In queste righe l’intento era quello di provare a spiegare le ragioni del fallimento di Ashton nella risoluzione di queste crisi. Ciò era dovuto molto semplicemente dall’avversione degli Stati membri nel cercare di arrivare ad un punto di congiunzione e non dall’inesperienza nel campo di Ashton, in virtù del fatto che Solana dovette affrontare la medesima problematica nel 2003 con lo scoppio della guerra in Iraq. Differentemente da Solana, il quale avendo avuto come esperienza professionale i quattro anni alla Nato dimostrò una particolare predisposizione verso lo sviluppo militare dell’Ue, Ashton fu imputata di non avere a cuore le sorti della Politica europea di sicurezza e difesa. Ciò era chiaramente testimoniato dai numeri: nel secondo mandato di Solana, dal 2003 al 2009, furono promosse venti operazioni, mentre nei primi anni di incarico di Ashton solo una missione fu lanciata con successo23. Come scritto in precedenza, tale netta differenza numerica è da imputare anche al taglio della spesa militare che ogni paese dell’Ue dovette provvedere a realizzare in seguito alla crisi economico-finanziaria del 2008.

Nel corso dei cinque anni di incarico Ashton seppe cogliere il grande limite di potere e di iniziativa politica del proprio ruolo, comprendendo che una politica estera coerente e unitaria sarebbe stata realizzabile solo tramite la collaborazione e la mediazione con gli stati membri. Un esempio molto intelligente di tale sorta di collaborazione si verificò nel febbraio del 2014, quando Ashton chiese ai ministri degli esteri polacco, tedesco e francese di recarsi a Kiev – a causa dell’intensificarsi delle violenze in Ucraina – a nome dell’Alto rappresentante e dell’Ue, mentre lei era impegnata nel serrato dialogo per l’accordo sul nucleare iraniano. Il sostegno degli stati membri fu determinante, inoltre, nel conseguimento dei due maggiori risultati politici di Ashton come Alto rappresentante: l’accordo fra Kosovo e Serbia e proprio l’accordo sul nucleare iraniano. Differentemente dallo stile adottato da Solana, più propenso a relazionarsi con i grandi attori della politica internazionale, Ashton lavorò tanto energicamente quanto opportunamente seguendo un basso profilo24. Un secondo elemento degno di nota fu il supporto istituzionale al Servizio europeo di azione esterna. La continuità dei lavori di incontro, dialogo e mediazione fu rilevante per il raggiungimento di entrambi questi risultati ed è evidente che sarebbe stato impensabile per un presidente a rotazione semestrale ottenere le medesime conclusioni25.

Dopo un primo biennio complicato, come è stato appurato, Ashton seppe ritagliarsi uno spazio importante all’interno del sistema istituzionale europeo. Le critiche iniziali, date dalla sua inesperienza, andarono man mano scemando grazie agli obiettivi raggiunti dalla politica britannica, ma anche a causa di un generale ridimensionamento delle aspettative rivolte alla figura dell’Alto rappresentante. Il caso iraniano e serbo-kosovaro avevano mostrato che quest’ultimo riusciva a costituire una politica estera coerente solo alla luce di un accordo fra gli stati. Alcuni obiettivi di rilievo sono stati raggiunti ed è pacifico celebrare il lavoro di Catherine Ashton per tale ragione, tuttavia, le aspettative all’alba dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – nell’ambito Pesc e Pesd – sono state, ancora una volta, disattese.

1 Bindi F. & Angelescu I. (2012). The Foreign Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World, Washington, Brookings Institution Press, p. 41

2 Art. 24, Trattato sull’Unione europea

3 Bindi F. & Angelescu I. (2012). The Foreign Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World, p. 44

4 La cooperazione rafforzata è una procedura che consente ad almeno nove paesi dell’Unione europea di stabilire un’integrazione o una cooperazione più stretta in una determinata area all’interno delle strutture dell’Ue senza il coinvolgimento necessariamente di tutti gli altri membri in www.eur-lex.europea.eu

5 Bindi F. & Angelescu I. (2012). The Foreign Policy of the European Union: Assessing’s Role in the World, p. 46

6 Art. 31.2, Trattato sull’Unione europea

7 Art. 42.1, Trattato sull’Unione europea

8 Art. 44, Trattato sull’Unione europea.

9 Artt. 42.6 e 46, Trattato sull’Unione europea.

10 Barber T. (2010). The Appointments of Herman van Rompuy and Catherine Ashton, in ‹‹Journal of Common Market Studies›› vol. 48, pp. 55-67, p. 62

11 Francia e Germania non ambivano tanto alla presidenza, bensì piuttosto a portafogli di rilievo all’interno della nuova Commissione. La figura di Blair, soprattutto, era ancora legata alla guerra in Iraq e alla divisione europea che comportò. Inoltre, un individuo con una tale personalità politica era considerato non incline per un ruolo di “negoziatore” tra i molti capi di stato e di governo che, presumibilmente, avrebbe – volontariamente o meno – oscurato in Barber T. (2010). The Appointments of Herman van Rompuy and Catherine Ashton, p. 61

12 Herman Van Rompuy era stato primo ministro belga e più volte ministro.

13 La stampa tedesca inventò addirittura un’espressione per indicare questo tipo di fenomeno, Selbstverzwergung, che indicava la volontà degli stessi stati membri di accettare la condizione di irrilevanza politica internazionale della Ue in ambito di politi-ca estera e di sicurezza in Parker G. (2009). Supremacy of the Nation State Wins Out, Financial Times, www.ft.com

14 L’incompetenza riguardava le dinamiche prettamente più politiche che il ruolo di Alto rappresentante comportava, perché nell’ambito commerciale – da annoverare anch’esso all’interno dell’area degli affari esteri – la sua preparazione era inoppugnabile.

15 Barber T. (2010). The Appointments of Herman van Rompuy and Catherine Ashton, p. 63

16 José Barroso, già Presidente della Commissione europea dal 2004 al 2009, fu nominato per un secondo mandato, dal 2009 al 2014.

17 Barber T. (2010). The Appointments of Herman van Rompuy and Catherine Ashton, p. 64

18 Helwig N. & Ruger C. (2014). In Search of a Role for the High Representative: The Legacy of Catherine Ashton, in ‹‹Italian Journey of International Affairs›› vol. 49, n. 4, pp. 1-17, pp. 1-2

19 Schout A e Vanhoonacker S. (2006). Evaluating Presidencies of the Council of the EU: Revisiting Nice, in ‹‹Journal of Common Market Studies››, vol. 43, n. 5, pp. 1051-1077, p. 1055

20 Helwig N. & Ruger C. (2014). In Search of a Role for the High Representative: The Legacy of Catherine Ashton, p. 6

21 Richard Gowan è un docente universitario presso la University of New York, spe-cializzato in politiche di sicurezza e difesa dell’Europa.

22 Gowan R. (2010). Why Cathy Needs a Good Crisis, European Council on Foreign Relations, www.ecfr.eu

23 Helwig N. & Ruger C. (2014). In Search of a Role for the High Representative: The Legacy of Catherine Ashton, p. 9

24 Duke S. (2013). The European External Action Service and Public Diplomacy, Discussion Papers in Diplomacy, The Hague, Clingendael Institute, n. 127, p. 28

25 Helwig N. & Ruger C. (2014). In Search of a Role for the High Representative: The Legacy of Catherine Ashton, p. 11

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