Jiang Zemin, un leader atipico

Jiang Zemin nel 2002

A chi seguisse solo da tempi recenti il contesto politico cinese difficilmente verrebbe in mente un modello di leadership diverso da quello, austero e imperscrutabile, del quasi-onnipotente Xi Jinping, ormai stabilmente al potere dal lontano 2012.

Qualora, tuttavia, si risalga agli inizi del secolo, ecco emergere una figura di grande interesse, Jiang Zemin, segretario generale del comitato centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) – ovvero “paramount leader” cinese – dal 1989 al 2002, venuto a mancare il 30 novembre scorso all’età di 96 anni.

Gli esordi e la carriera politica

Cresciuto durante l’occupazione giapponese, si laureò in ingegneria elettronica a Shanghai nel 1947, un anno dopo il suo ingresso nel PCC: negli anni successivi, prima di dedicarsi all’attività politica, lavorò nel settore automobilistico trasferendosi anche a Mosca.

Dopo anni di incarichi politici di crescente importanza – nel 1982 entrò a far parte del Comitato centrale del PCC, nel 1985 divenne sindaco di Shanghai e nel 1987 segretario locale del Partito nonché membro del Politburo – egli vide la sua consacrazione alla leadership a seguito degli eventi del 1989, quando Deng Xiaoping lo volle segretario generale in luogo del deposto Zhao Ziyang, di tendenze troppo riformiste. La sua nomina, seppure frutto di un compromesso e intesa come transitoria, condusse a oltre un decennio di governo segnato da importanti sviluppi sia sul piano economico che geopolitico.

Oltre che dall’imponente crescita economica scaturita a partire dalle riforme di mercato promosse da Deng e dalla riacquisizione di Hong Kong (1997) e Macao (1999) dal Regno Unito e dal Portogallo all’insegna dell’approccio “un paese, due sistemi”, il governo di Jiang Zemin fu segnato dalla terza crisi dello Stretto di Taiwan (luglio 1995 – marzo 1996) e dal contrasto alla disciplina spirituale Falun Gong.

Ciò su cui ci si vuole soffermare qui, tuttavia, è – come indicato in apertura – il carattere del personaggio in questione e la sua percezione da parte del pubblico internazionale e cinese.

Un personaggio istrionico

Due eventi mediatici, in particolare, consentono di cogliere con una certa efficacia la particolarità di Jiang Zemin: l’intervista condotta da Mike Wallace per la CBS e quella segnata dal suo diverbio con la giornalista di Hong Kong Sharon Cheung, entrambe assai frequentate su internet.

Nella prima, risalente al 2000, il celebre giornalista statunitense intrattenne una vivace conversazione con il «silk wrapped needle» (“ago avvolto nella seta”) cinese, peraltro nella particolare cornice della resistenza estiva presidenziale di Beidaihe, generalmente sigillata ai non “addetti ai lavori”, ovvero i più importanti politici cinesi che lì si riuniscono «to develop their plans for the coming year», stando a quanto chiarito da Wallace. Si riportano di seguito alcuni passaggi particolarmente emblematici del botta e risposta:

  • Wallace: «Al Gore, George W. Bush, one of them is going to be President of the United States while you are President of China. If they are watching right now, what would you want to say to them about future U.S. relations with China?»
  • Zemin: «I have a lot of friends among the leaders of both parties, Republicans and Democrats»
  • Wallace: «So, you give money to both their campaigns?» [ridendo]
  • Zemin: «Are you just joking? We have never done such things. […]» [sorridendo]

[…]

  • Wallace: «You are the last major Communist dictatorship in the world» [indicando con l’indice Zemin]
  • Zemin: «You mean I’m dictatorship?» [qui Zemin risponde direttamente in inglese e ride]
  • Wallace: «Well, of course. A developmental dictatorship is what… is what we believe it is. Am I wrong?»
  • Zemin: «Of course, this is big mistake» [ridendo e puntando l’indice in alto]

Seguì la richiesta di Zemin a Wallace di definire il termine “dictatorship” e una breve discussione. Nel corso dell’intervista, tra le altre cose, il presidente cinese volle intonare un canto patriottico richiamante la sua lotta giovanile contro gli occupanti giapponesi e declamare, in inglese, l’esordio del discorso di Gettysburg di Lincoln, che pare avesse già citato anni prima nel fronteggiare alcuni studenti manifestanti.

Curiosamente collegata a questa intervista è un’altra, di poco successiva, in cui una giovane giornalista di Hong Kong, Sharon Cheung, volle incalzare Jiang Zemin in merito alle previste elezioni di Hong Kong del 2002 – dove Tung Chee-hwa avrebbe vinto senza aver sostenuto alcuna competizione – domandandogli se il supporto da lui manifestato per il suddetto Tung non costituisse di fatto un «imperial appointment» (“nomina imperiale”) dello stesso, rendendo di fatto superfluo il voto. Difficile immaginarsi la reazione del presidente cinese, riportata seguendo la traduzione inglese: «my feeling is that you media need to learn more. […] You should know Mike Wallace in the U.S. He’s way above you all. [!!] I and he talked and laughed comfortably. […] I’m anxious for you all! It’s true. You guys are good at one thing. All over the world wherever you go to, you always run faster than Western journalists. But the questions you keep asking [are] “too simple, sometimes naïve” [in inglese nell’originale]». Proprio quel «too simple, sometimes naïve» – all’insaputa (?) del diretto interessato – è assurto a slogan virale dell’ex presidente cinese, specialmente ma non solo a seguito della sua scomparsa, che ha certamente suscitato forti emozioni nella popolazione cinese, alle prese con un’assai problematica congiuntura economico-sociale, tra rallentamento della crescita economica, nuovi lockdown e conseguenti proteste.

Passato e presente

Difficile, allora, che la mente non vada agli anni segnati da forte crescita e dunque ottimismo del presidente “toad” (“rospo”), come è definito – con un misto di ironia e affetto – da tanti sul web in ragione dei suoi grandi occhiali e dei pantaloni a vita decisamente alta che ne erano diventati il tratto distintivo. Questo fenomeno virale, il cosiddetto “toad worship”, è stato oggetto di censura a causa verosimilmente delle implicite e velate critiche all’attuale leadership: nonostante l’età avanzata, infatti, Jiang Zemin rimase politicamente assai influente per tutta la sua vita, cosa che dovette impensierire non poco il suo ex-sostenitore Xi Jinping, che, pure, il 6 dicembre gli ha dedicato un lungo elogio funebre a un tempo solenne e commosso, definendolo «un grande marxista e un grande rivoluzionario proletario, statista, stratega militare, diplomatico, combattente comunista di vecchia data, e un leader eccezionale della grande causa del socialismo con caratteristiche cinesi».

“The late Chinese President Jiang Zemin waving to the crowd after being given a tricorn colonial hat during his trip to the United States in 1997”

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