La mancata risposta europea e l’irrimediabile spaccatura fra Mosca e l’Occidente
La crisi politica e militare divampata in Ucraina nel 2014 rappresentò il primo conflitto sul suolo europeo dal periodo delle guerre in ex Jugoslavia e simboleggiò, almeno sino al febbraio del 2022, il momento di maggiore incrinatura dei rapporti diplomatici tra la Russia e l’Occidente dai tempi della guerra fredda. Il pretesto della crisi fu il congelamento, il 21 novembre del 2013, da parte del presidente ucraino Viktor Janukovič1 sotto la forte pressione economica esercitata dalla Russia, della firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea. Le conseguenti proteste e manifestazioni pubbliche, definite Euromaidan (letteralmente “euro” “piazza”, ovvero manifestazioni di piazza a favore del progressivo avvicinamento ucraino all’Unione europea) convinsero il parlamento ad approvare una mozione di impeachment nei confronti di Janukovic con l’accusa di corruzione e omicidio di massa2, visto l’utilizzo scriteriato della violenza da parte della polizia in funzione repressiva – la quale portò al tragico bilancio di più di cento morti e più di quattromila feriti – per far fronte alle numerose reazioni verificatesi, come detto, dal mancato accordo e dal malcontento che esso comportò. La caduta di Janukovič a fine febbraio 2014 riscaldò irrimediabilmente gli animi nella regione est europea. Scoppiarono, infatti, le prime insurrezioni nella penisola della Crimea e nella regione di Donetsk (nell’est dell’Ucraina) da sempre aree profondamente legate culturalmente e ideologicamente al mondo russo. Contemporaneamente alla richiesta, da parte del parlamento della Crimea, di indire un referendum secessionista che si sarebbe svolto poche settimane dopo, la Russia entrò prepotentemente in gioco inviando dei propri contingenti sulla penisola, di fatto occupandola militarmente3. Oltre al referendum svoltosi in Crimea il 16 marzo, non riconosciuto come legittimo ovviamente dal governo centrale ucraino e dalla comunità internazionale occidentale, il cui esito premiò pressoché unanimemente il processo di secessione (97% dei voti fu favorevole), tra aprile e maggio le tensioni sfociarono anche nell’area orientale del paese. Il 7 aprile, infatti, le ostilità nella regione produssero un assalto alle sedi del governo regionale di Donetsk e Luhans’k, dove anche lì vennero richiesti formalmente referendum per sancire il futuro indipendente delle due province. L’esito delle consultazioni – svoltesi l’11 maggio – rappresentò, senza sorprese, un ulteriore plebiscito a favore dell’indipendenza con, tuttavia, una differenza sostanziale. Se la regione di Donetsk vedeva il secessionismo come un primo passo verso la congiunzione con Mosca, Luhans’k, invece, avrebbe prediletto un’autonomia politico-amministrativa all’interno dello stato ucraino. Ad infuocare ulteriormente un teatro già abbastanza incandescente, il 17 luglio venne abbattuto un volo di linea malese (Malaysia Airlines MH17), diretto a Kuala Lumpur, che stava sorvolando lo spazio aereo ucraino, in una zona di scontri fra il governo centrale di Kiev e i ribelli del Donbass (l’area del bacino del fiume Donec) e la cui distruzione causò la morte di trecento persone.
Nonostante il passaggio di consegne, nel 2010, fra il filoccidentale Viktor Yushchenko e il neopresidente Janukovič, il processo di avvicinamento dell’Ucraina al mondo europeo non era considerato in dubbio da entrambe le parti. L’Alto rappresentante Catherine Ashton, infatti, espresse pubblicamente l’importanza per l’Unione di «approfondire le relazioni con l’Ucraina4». L’indole filoeuropea dell’Ucraina, tuttavia, si affievolì rapidamente già poco dopo l’elezione di Janukovič. Quest’ultimo, infatti, in seguito ad una visita ufficiale a Bruxelles, nella quale dichiarò che l’Unione europea sarebbe stata una «priorità fondamentale5» per il futuro ucraino, invertì ruvidamente l’indirizzo politico6 e il 21 aprile 2010 concluse l’Accordo di Kharkiv con la Russia7, secondo il quale Kiev avrebbe concesso per venticinque anni – a partire dal 2017 – l’affitto del porto di Sebastopoli, in Crimea, alla Russia in cambio di una riduzione sul prezzo del gas fornito da Mosca pari al 30%, il che avrebbe consentito all’Ucraina di risparmiare quasi quaranta miliardi di dollari in un decennio. La definizione di tale accordo fu un primo riavvicinamento politico e strategico dell’Ucraina sotto la sfera d’influenza della Russia, spaventata – dopo la guerra in Georgia del 2008 – che l’influenza della Nato e dell’Ue si insinuasse nel proprio “giardino di casa”. Questo progressivo accostamento alla Russia fu sottovalutato dalle massime cariche europee. Come si può leggere dalle conclusioni sia delle riunioni del Foreign Affair Council (Fac) sia dei diversi Consigli europei che si svolsero fra il 2010 e il 2013, emergeva costantemente la volontà europea di continuare sulla strada intrapresa con le proprie politiche di vicinato8. Per tale ragione la decisione di Janukovič di bloccare l’Accordo di associazione e di libero scambio globale – apparentemente a causa della «complessa situazione economica9» in cui verteva il paese, in realtà per le numerose e pesanti pressioni economiche perpetrate dalla Russia – non poté che lasciare spiazzata l’élite politica dell’Ue.
La risposta europea che seguì l’intervento russo in Crimea fu, invece, decisamente più immediata e consistente. Il 17 marzo – un giorno dopo il referendum sull’indipendenza della penisola – l’Ue emise le prime sanzioni economiche nei confronti di ventuno persone (la lista sarebbe stata aggiornata e ampliata il 20 marzo) di nazionalità russa e ucraina accusate di aver lavorato per la destabilizzazione dell’area, tra cui anche il vice primo ministro russo, Dmitri Rogozin, l’ex presidente ucraino Viktor Janukovič ed il premier della Crimea, Sergej Aksionov10. A ciò si aggiunse, inoltre, la cancellazione del vertice bilaterale fra Unione europea e Russia (e dei futuri vertici fra Russia e ciascun singolo stato membro dell’Ue), la decisione di annullare il previsto G8 in Russia per organizzare a Bruxelles un incontro in assenza di Putin (G7) e, infine, la sospensione dei negoziati per l’adesione della Russia all’Ocse e all’Agenzia internazionale per l’energia11. Al contempo, l’Ue lavorò tramite la propria diplomazia per cercare di raffreddare il conflitto e di portare le parti, se non a una conciliazione, almeno ad un cessate il fuoco che potesse sfociare in un iniziale dialogo distensivo. Fece ciò, tuttavia, ribadendo la necessità imprescindibile del ritiro delle forze armate russe dal territorio ucraino, in quanto violazione del diritto internazionale, e adottando pacchetti economici in favore della già zoppicante economia ucraina. Il 27 giugno 2014 furono completate le procedure di associazione rigettate da Janukovič e venne firmato l’Accordo di associazione fra Ue e Ucraina (insieme anche a Georgia e Moldavia), il quale sarebbe, tuttavia, entrato in vigore solo all’inizio del 2016 al fine di non creare ulteriori insidie nell’immediato con Mosca. L’Unione europea, inoltre, tramite il lavoro del proprio Alto rappresentante (all’epoca erano le ultime settimane a Bruxelles di Ashton, ma il medesimo lavoro fu portato avanti anche dalla sua succeditrice Federica Mogherini) intraprese un dialogo trilaterale con Ucraina e Russia per arrivare a un ripristino dell’integrità territoriale della prima e per discutere, su richiesta della seconda, di una decentralizzazione amministrativa di Kiev. Ciò ha portato, il 5 settembre 2014, alla definizione di un primo cessate il fuoco stabilito dal Gruppo di contatto per l’Ucraina – formato da rappresentanti di Russia, Ucraina, gruppi separatisti e dall’Ocse – e, al 19 settembre, del Protocollo di Minsk che andava a implementare e completare il precedente accordo e che era costituito da tredici punti chiave per il raffreddamento della regione:
«1) Immediato e completo cessate il fuoco nei rispettivi distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk […]. 2) Ritiro delle truppe da entrambe le parti per creare una zona di sicurezza (50 km nel caso di sistemi di artiglieria del calibro di 100 mm, e più di 140 km per i lanciarazzi). Il trasferimento delle truppe dovrebbe iniziare non più tardi del secondo giorno di cessate il fuoco e terminare entro 14 giorni. A questo processo devono partecipare gli osservatori dell’OSCE. Allo stesso modo deve sostenerlo il Gruppo di contatto. 3) Garantire da parte dell’OSCE un controllo effettivo sul cessate il fuoco, a partire dal primo giorno. 4) Dopo il primo giorno successivo al ritiro delle truppe, iniziare un dialogo sul tema dello svolgimento delle elezioni locali in conformità con la Legge ucraina e con la legge “sulla modalità temporanea dell’amministrazione locale nelle repubbliche regionali di Donetsk e Lugansk” […]. 5) Garantire un’amnistia tramite l’introduzione di una legge sul divieto di persecuzione delle persone in relazione agli eventi che si sono svolti nelle repubbliche di Donetsk e di Lugansk. 6) Provvede-re alla liberazione e lo scambio di tutti i prigionieri e delle persone detenute illegalmente in base al principio di “Tutti per tutti”, entro cinque giorni dal cessate il fuoco. 7) Garantire l’accesso, la consegna, lo stoccaggio e la distribuzione degli aiuti umanitari sulla base dei meccanismi internazionali. 8) Determinazione del modello di ricostruzione delle relazioni sociali ed economiche, comprendendo i pagamenti del welfare come le pensioni e altri. Con questo obbiettivo l’Ucraina ricostruisce la gestione del sistema bancario nelle regioni colpite dal conflitto, ed è possibile che venga introdotta un’effettuazione facilitata dei versamenti sociali da parte di organi internazionali. 9) Ritorno del pieno controllo da parte dell’Ucraina del confine in tutta l’area del conflitto […]. 10) Ritiro delle unità militari di altri Paesi, tecnologie e merce-nari dal territorio dell’Ucraina, sotto la supervisione dell’OSCE. Tutti i gruppi di combattenti illegali dovrebbero essere disarmati. 11) Realizzazione della riforma costituzionale in Ucraina. I cambiamenti devono entrare in vigore entro la fine del 2015. Devono preparare la decentra-lizzazione […], così come l’introduzione di una legge sullo status particolare delle diverse regioni di Lugansk e Donetsk entro la fine del 2015. 12) Sulla base della legge ucraina “sulla modalità temporanea dell’amministrazione locale nelle repubbliche regionali di Donetsk e Lugansk” le questioni relative alle elezioni locali saranno discusse e concordate con i rappresentanti delle diverse regioni di Donetsk e di Lugansk nei contesti di un gruppo di contatto trilaterale. Le elezioni si terranno nel rispetto degli standard OSCE e sotto il suo monitoraggio. 13) Intensificazione delle attività del gruppo di contatto trilaterale, nella realizzazione di gruppi di lavoro per l’attuazione dell’accordo di Minsk12».
L’Unione europea ha affrontato la prima crisi ucraina adottando una politica estera comune, riuscendo a esercitare pressioni su determinati paesi – Ungheria e Slovacchia – inizialmente più riottosi nel sostenere le sanzioni economiche contro la Russia e nell’adottare accordi di rifornimenti energetici nei confronti dell’Ucraina, una volta che le forniture da Mosca erano state interrotte. Le posizioni antirusse all’interno dell’Unione si sono acuite in seguito all’abbattimento del volo di linea MH17, cui il passaggio dallo scontro violento e mortifero da un teatro di guerra (Crimea e Donbass) a un piano pacifico e civile (il volo della Malaysia Airlines ospitava viaggiatori civili) provocò non poche reazioni di sdegno da parte della comunità internazionali occidentale. La risposta europea, tuttavia, seppur immediata, fu considerata da molti analisti alquanto debole. Nell’esperienza della prima guerra ucraina ha pesato notevolmente il ruolo geopolitico della Russia come potenza regionale e la differente concezione che i singoli paesi europei hanno nei confronti dell’ex madre patria sovietica. Secondo tale visione, perciò, sono stati posti in primo piano alcuni interessi nazionali davanti al comune tornaconto europeo, limitandone l’azione nell’influenzare il proseguo della crisi13.
Nella gestione della crisi ucraina Federica Mogherini fu una delle attrici protagoniste dell’azione politica e diplomatica dell’Unione, tuttavia, non riuscendo quasi mai ad essere determinante nel proprio ruolo. È vero che il suo mandato cominciò quasi sette mesi dopo l’annessione russa delle Crimea e, quindi, dovette prendere in mano una questione delicata e già maneggiata da altri precedentemente. Mogherini, però, difficilmente riuscì – come fece, invece, Ashton – a trovare una ricerca del consenso e una forte comunanza di interessi fra i paesi membri, cosa che come è stato possibile leggere sino ad ora può cambiare sensibilmente il mandato e il tipo di azioni percorribili dall’Alto rappresentante. Cercò di tenere vivo il rapporto con la Russia (indispensabile per arrivare a una pace negoziata) senza, tuttavia, retrocedere nel supporto all’emissione delle sanzioni, anche se la sua posizione è stata considerata dai numerosi detrattori eccessivamente morbida nei confronti di Mosca. Mogherini, tuttavia, ha avuto il merito, non indifferente, di aver mediato i colloqui per l’adozione dell’Accordo di associazione e libero scambio nel difficile contesto internazionale figlio delle fragili relazioni sorte dal Protocollo di Minsk.
1 Viktor Janukovič, già tre volte primo ministro, è stato presidente dell’Ucraina fra il 2010 e il 2014 e il fondatore di Partija Rehioniv (Partito delle Regioni), partito politico di centro con tendenze filorusse ed euroscettiche.
2 Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2014). Risoluzione 68/262, adottata il 27 marzo, p. 2.
3 Contrariamente a quanto indica la retorica e la propaganda russa (come mezzo di giustificazione dell’intervento nella penisola) la Crimea non è storicamente legata a Mosca. La penisola, infatti, fu «assorbita nell’impero zarista dopo la separazione dell’impero ottomano sancita dal trattato di Küçük Kaynarca del 1774 e la successiva annessione da parte di Caterina II nel 1783. Prima di allora – tra il 1441 e il 1783 – era stata governata dal canato tataro […]. È per cancellare questa realtà storica, per annientare l’identità dei tatari di Crimea che oggi la storiografia russa pone l’accento sui periodi in cui la penisola e la regione erano dominate dai greci, da Roma e dalle città Stato italiane» in Özçelik S. (2021). La Crimea è dei tatari, in «Limes», n. 6, pp. 139-149. p. 142.
4 Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (2010). Statement by the HR Catherine Ashton, on the Ukrainian presidential election, 17 gennaio e 7 febbraio.
5 EurActiv (2010). Ukraine Yanukovich pledges to work for EU integration, EurActiv, www.euractiv.com
6 Harding L. (2010). Viktor Yanukovych promises Ukraine will embrace Russia, The Guardian, www.theguardian.com
7Pirani S., Stern J, & Yafimava K. (2010). The April 2010 Russo-Ukrainian gas agreement and its implications, Oxford Institute for Energy Studies, p. 2
8 Nonostante le posizioni contrastanti, se non addirittura conflittuali, dei paesi dell’Ue sull’atteggiamento e il ruolo assunto dalla Russia nell’Europa dell’est, vi era un sostanziale accordo riguardo l’opportunità di acuire le relazioni di buon vicinato, tramite, in special modo, il mezzo del partenariato, con l’Ucraina in vista di una possibile e futura associazione all’Unione in Amadio Viceré M. G. (2020). Looking towards the East: The High Representative’s role in EU foreign policy on Kosovo and Ukraine, in ‹‹European Security››, vol. 29, n. 3, pp. 337-358, p. 345.
9 Mortensen A. (2014). Ukraine protest: 5 things you need to know, CNN, www.edition.cnn.com
10 Camera dei deputati (2016). La crisi russo-ucraina: cronologia degli eventi, Note di politica internazionale, www.documenti.camera.it
11Cross M. D. & Karolewski I. P. (2017). What type of Power has the EU Exercised in the Ukraine-Russia crisis? A Framework of Analysis, in ‹‹Journal of Common Market Studies››, vol. 55, n. 1, pp. 3-19, p. 5
12 Il Fatto Quotidiano (2015). Ucraina, cessate il fuoco dal 15 febbraio: ecco i 13 punti dell’accordo di Minsk, Il Fatto Quotidiano, www.ilfattoquotidiano.it
13Cross M. D. & Karolewski I. P. (2017). What type of Power has the EU Exercised in the Ukraine-Russia crisis?, p. 16