L’Ue alla prova della prima intesa con Teheran
Nell’estate del 2002 la comunità internazionale dovette affrontare una nuova spinosa questione quando venne a conoscenza – grazie al Consiglio nazionale della resistenza in Iran (Ncri), un’organizzazione politica ostile al regime teocratico – che Teheran stava sviluppando in gran segreto un programma nucleare. La notizia, confermata nei mesi successivi dalle stesse autorità governative, angustiava la comunità internazionale sul possibile utilizzo bellico di tali strutture da parte dell’Iran. Nonostante le smentite da parte dell’allora presidente Seyyed Mohammad Khatami sull’eventuale impiego degli impianti nucleari volti alla realizzazione di armi atomiche, bensì al solo utilizzo civile ed energetico, la segretezza della loro attuazione lasciava una certa apprensione1 all’Europa e agli Stati Uniti, in virtù dalla storica volontà iraniana di porsi alla guida dell’area mediorientale come potenza regionale2.
Nell’autunno del 2003, perciò, cominciò una prima fase di dialogo diplomatico fra il cosiddetto E33, comprendente i ministri degli esteri di Francia, Germania e Regno Unito, e il governo iraniano per dissuadere quest’ultimo da completare il ciclo produttivo nucleare. Le parti arrivarono facilmente alla definizione di un primo accordo – l’Accordo di Teheran –, il quale riconosceva «il diritto dell’Iran a godere dell’energia nucleare per un utilizzo pacifico4144» e consentiva, inoltre, di firmare il protocollo aggiuntivo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), un’agenzia speciale dell’Onu volta a pro-muovere e favorire l’uso civile dell’energia atomica. L’Iran, in base all’Accordo di Teheran, acconsentì ad una sospensione temporanea dell’arricchimento e ritrattamento dell’uranio, tuttavia, l’intesa trovata con Germania, Francia e Regno Unito lasciava parecchie questioni non ben delineate. Il testo, infatti, non specificava quali fossero le attività nello specifico che l’Iran avrebbe dovuto sospendere e le divergenze, che tale mancanza comportò, sfociarono, secondo un rapporto dell’Aiea, in un’aperta violazione dell’accordo da parte dell’Iran, mossa che pose fine – almeno inizialmente – ai negoziati con l’E3. Per risolvere la controversia, l’anno successivo – nell’autunno del 2004 – il dialogo con l’Iran vide un’evoluzione. Gli stati dell’E3, infatti, per cercare il sostegno dei restanti membri dell’Ue decisero di porre la trattativa sotto il patrocinio dell’azione esterna europea, facendo sedere al tavolo delle trattative anche l’Alto rappresentante Solana5. Il nuovo gruppo interlocutore – denominato ora E3/Ue – riuscì, grazie anche alla minaccia di deferire l’Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu, a sottoscrivere un ulteriore accordo con la teocrazia islamica: l’Accordo di Parigi del 2004.
In base a questo nuovo patto venivano definite più nel dettaglio le attività per cui era richiesta una sospensione da parte iraniana e venivano consentite ispezioni da parte dell’Aiea proprio per verificare che non vi fossero nuove violazioni. Dall’altro lato, invece, l’E3/Ue si sarebbe impegnata alla stipulazione di un contratto in materia di «cooperazione nucleare, tecnologica ed economica e […] in materia di sicurezza»6. L’accordo sottoscritto a Parigi rappresentava solamente un’intesa preliminare volta all’accettazione che «il programma nucleare iraniano [fosse utilizzato] esclusivamente per scopi pacifici»7 e, infatti, cominciarono immediatamente dopo incontri diplomatici volti alla definizione di un accordo a lungo termine più ampio, che abbracciasse oltre al concetto di deterrenza quello di trasferimento di tecnologia nucleare, cooperazione economica e sicurezza. Il sostegno europeo fu tanto rilevante che il dialogo con l’Iran sfociò addirittura in un’intesa sul commercio e la cooperazione con l’Unione europea. Nel 2004 la questione del nucleare iraniana era considerata, se non chiusa, del tutto sotto controllo grazie ancora una volta all’abile azione di Solana e, più in generale, al lavoro dell’azione esterna dell’Unione.
Sfortunatamente, le cose peggiorarono e precipitarono l’anno seguente. Nel febbraio del 2005, infatti, iniziarono ad avvicinarsi cautamente all’interno della diatriba anche gli Stati Uniti, i quali pur non accettando ancora l’idea di intraprendere colloqui diretti con l’Iran, decisero di derogare il loro veto all’ingresso del paese mediorientale nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Nonostante l’insieme di possibili vantaggi che avrebbe ottenuto dall’Accordo di Parigi, l’Iran non era ancora del tutto convinto. Era molto reticente sulla sospensione completa alle proprie attività di sviluppo, arricchimento e trattamento dell’uranio a tempo indeterminato, ritenuto dall’E3/Ue, invece, come la sola e unica garanzia oggettiva che l’Iran potesse fornire per dimostra-re la propria volontà a non intraprendere la strada della creazione dell’arma atomica8. A ciò si aggiunse un’ulteriore difficoltà, la quale si rivelò essere in seguito quella decisiva per l’arenarsi dell’accordo. Nel giugno del 2005, infatti, le elezioni politiche in Iran videro uscire vincitrice una coalizione conservatrice guidata da Mahmoud Ahmadinejad, la quale prese decisioni fortemente antitetiche rispetto al governo precedente. Il neopresidente, infatti, decise di bocciare ogni proposta giunta dalla controparte occidentale, di fatto ponendo fine al tavolo delle trattative cominciato tre anni prima.
Il brusco cambio di posizione dell’Iran e la volontà di non intraprendere alcuna limitazione alla propria programmazione di arricchimento nucleare pose gli stati dell’Ue nella condizione di deferire il dossier iraniano al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (cosa che aveva sempre evitato di fare nel corso del triennio precedente, anche a fronte di patenti violazioni degli accordi da parte iraniana, alla luce degli atteggiamenti comunque indulgenti e dialoganti del governo islamico) e di sostenere l’eventuale proposta di sanzioni economiche9. Da quel momento in poi il fronte negoziale si estese ulteriormente e il trittico di paesi che aveva iniziato il dialogo – E3 diventato in seguito E3/Ue – ora si faceva chiamare E3+3 e vedeva al proprio interno anche la presenza di Cina, Russia e Stati Uniti.
La proposta di questo nuovo gruppo di paesi, alla cui guida venne posto l’Alto rappresentante Solana come capo negoziatore, dovette rappresentare la sintesi di opinioni contrastanti. L’E3+3 accettò il riconoscimento ad un legittimo potenziamento dell’energia nucleare iraniana, quale diritto sovrano (fu una concessione degli Stati Uniti), però, chiedendo in cambio la sospensione del programma nucleare come garanzia per avviare una negoziazione congiunta. La risposta fu nuovamente molto evasiva, con l’Iran che non accettava l’idea di dover limitare un diritto legato alla propria sovranità, ribadendo ancora una volta il fine pacifico dietro le proprie attività legate alla ricerca nucleare. La risposta dell’E3+3 non si fece attendere e le più volte minacciate sanzioni economiche furono approvate a dicembre 200610 – un primo pacchetto – e, successivamente, anche a marzo 200711
Dal proprio canto l’Unione europea tentò di portare avanti un duplice approccio, che guardasse contemporaneamente alla ricerca – ancora una volta – di una soluzione diplomatica, ma che al contempo non rinnegasse l’uso delle sanzioni approvate dalla comunità internazionale. Nonostante le ulteriori difficoltà sorte in seguito all’introduzione delle sanzioni economiche, il processo di mediazione con l’Iran non si interruppe. Solana, infatti, presentò nel maggio 2008 un ulteriore proposta di accordo sostanzialmente non difforme dalle precedenti ma con una sospensione del programma di minore entità. Si prevedeva un preliminare accordo di sei settimane in cui Tehera0n avrebbe congelato il proprio programma di arricchimento e lavorazione dell’uranio in cambio di uno stop nell’esecuzione delle sanzioni. Ancora una volta la risposta iraniana fu di un velato ottimismo a cui non seguì, tuttavia, alcun interesse nel proseguire nella direzione sperata dall’E3+3. Ormai era chiaro che qualunque tentativo fatto dall’Alto rappresentante – nella veste di capodelegazione per l’E3+3 – sarebbe risultato del tutto vano. Le speranze per raggiungere un accordo reale e duraturo erano morte con il cambio di strategia promosso da Ahmadinejad nel 2005 e – in virtù della vittoria elettorale del presidente in carica nel giugno del 2009 – la situazione non sarebbe mutata negli anni a venire.
Differentemente da quanto successe nel corso del 2001 con gli avvenimenti in Macedonia, quando Solana fu determinante in tutte le fasi del processo decisionale, in questo caso l’Alto rappresentante decise di svolgere un ruolo meno da protagonista e più da mediatore fra le volontà dei singoli stati europei, specialmente dei primi tre interlocutori (Francia, Germania e Regno Unito). Questa volta l’unità di intenti da parte dell’Ue non era accompagnata dalla medesima visione, ovvero l’importanza della proliferazione, non vi era un accordo unanime tra gli stati membri sul modo più opportuno da adottare per raggiungere tale obiettivo. Inizialmente, perciò, le trattative sul nucleare iraniano sembrarono una ulteriore prova di forza della politica estera europea, soprattutto in risposta al deludente intervento statunitense in Iraq, solamente perché furono astuti i decisori politici a non far trapelare all’esterno dei consigli privati le differenze di pensiero e azione che aleggiavano. L’intervento europeo sulla questione iraniana fu dato, come scrive intelligentemente Zanon12, dalla volontà e necessità di evitare il ripetersi di una storia già nota. Se, infatti, in Macedonia, l’Ue aveva ancora molto bene a mente il conflitto in Bosnia e in Kosovo, nel primo decennio del Duemila, l’Unione temeva che il fallimento dell’intervento diplomatico in Iraq, sfociato poi nell’intervento armato da parte della “coalizione dei volenterosi”, si potesse replicare nel vicino Iran, complicando ulteriormente le già contorte e composite vicende mediorientali. A differenza di quanto successo nei Balcani, tuttavia, quando i paesi europei una volta divisi riuscirono a ricompattarsi per trovare una soluzione congiunta alla crisi macedone, sulla questione iraniana – come scritto precedentemente – si trovarono ideologicamente distanti, a causa dell’enorme impatto che il conflitto iracheno aveva avuto all’interno dell’opinione pubblica e dell’agenda politica occidentale.
1 Fitzpatrick M. (2006). Assessing Iran’s Nuclear Programme, in ‹‹Survival››, vol. 48, n. 3, pp. 5-26, p. 5.
2 Takeyh R. (2006). Hidden Iran, New York, Times Books, p. 21; Harnisch S. (2007). Minilateral Cooperation and Transatlantic Coalition Building. The E3/UE-3 Iran Initiative, in ‹‹European Security Forum Working Paper››, vol. 16, n. 1, pp. 1-27, p. 9.
3 In virtù dell’aumento di interesse che stava riscontrando la questione iraniana all’inizio del millennio, l’Ue, che aveva recentemente migliorato le sue relazioni con l’Iran (molti dei suoi Stati membri avevano buone relazioni economiche e diplomatiche), decise di giocare di anticipo e di porsi alla guida di una delegazione con cui avviare dialoghi volti alla realizzazione di un accordo negoziato, prima che si profilasse un intervento unilaterale statunitense (gli Usa non avevano più relazioni diplomatiche con l’Iran dal 1979), idea che, infatti, fu presa seriamente in considerazione in U.S. President (2002). Address Before a Joint Session of the Congress on the State of the Union, in ‹‹Weekly Compilation of Presidential Documents››, vol. 38, n. 5, pp. 131-139, p. 135.
4 Iran (2003). Statement by the Iranian Government and Visiting EU Foreign Minis-ters, www.iaea.org
5 Sauer T. (2008). Struggling on the World Scene: an over Ambitious EU Versus a Committed Iran, in ‹‹European Security››, vol. 17, n. 2-3, pp. 273-293, p. 276.
6 Iran – E3/UE (2004). Iran-UE Agreement on Nuclear Programme, www.iaea.org
7 Ibidem
8 Harnisch S. (2007). Minilateral Cooperation and Transatlantic Coalition Building. The E3/UE-3 Iran Initiative, p. 12.
9 Bernstein R. & Weisman S. R. (2006). Europe Joins US in Urging Action by UN on Iran, New York Times, www.nytimes.com; Castel S. & Sengupta K. (2013). Europe Moves Closer to Sanctions on Iran, The Independent, www.independendent.co.uk
10 Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (2006). Resolution 1737. S/RES/1737, adottata il 23 dicembre, p. 2.
11Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (2007a). Resolution 1747. S/RES/1747, adottata il 24 marzo, p. 2.
12Zanon F. (2012). The High Representative for the CFSP and EU security culture: mediator or policy entrepreneur?, School of International Studies University of Trento, PhD Dissertation, pp. 144-145.