conflitto e identità

Tra le righe: conflitto e identità

Cosa succede quando uno Stato vive nell’instabilità? Quali sono le ripercussioni dei conflitti per l’identità della popolazione? Come, e in che termini, si può dire di appartenere ad uno Stato che mette in crisi la nostra identità?

Tra le righe di “Il cacciatore di aquiloni” di Hosseini troviamo risposta a parte di queste domande attraverso la difficile storia dell’Afghanistan.

Conflitti

Pensare all’Afghanistan oggi significa pensare ai talebani e al fondamentalismo islamico. L’Afghanistan preoccupa tutto il mondo, specialmente per la condizione svantaggiata delle donne nella società patriarcale, i cui diritti sono minacciati. Ciononostante, questi non sono i primi tempi difficili per il paese. Prima ancora dell’invasione americana, l’Afghanistan ha sofferto quella sovietica nel 1979, così come il tumulto di consecutive guerre civili, tra conflitti etnici e intra-religiosi. Lo scenario afgano è da decenni caratterizzato da conflitti, scontri ideologici e culturali. Ma l’Afghanistan non è sempre stato così. Nel “Il cacciatore di Aquiloni”, Khaled Hosseini ci racconta di qual pacifico e anonimo Afghanistan che il protagonista del suo libro conobbe in gioventù, prima dell’invasione sovietica e prima dei talebani. Sebbene più pacifico il paese è sempre stato permeato da fazioni etniche e culturali, dando vita a “gabbie” identitarie. Nello scenario afgano, costruirsi un’identità propria, dai contorni ben marcati è difficile. Difatti, l’instabilità politica e i conflitti che affliggono l’Afghanistan si traducono in instabilità identitaria.

Nel suo libro, Hosseini ripercorre la storia dell’Afghanistan attraverso i diversi conflitti che l’hanno caratterizzata. Per riuscire a comprendere a pieno i personaggi del libro e gli sviluppi a cui vanno incontro, così come i contrasti e le vicissitudini che vivono è bene partire dalla definizione di conflitto. Figurativamente indica un urto, un contrasto, un’ opposizione, – per esempi di sentimenti o di opinioni. Etimologicamente, deriva dal latino cum – insieme, e fligere – percuotere. Indica dunque una collisione, anche fisica quando i combattenti si mescolano e si azzuffano.

Conflitto è la parola chiave per capire il romanzo di Hosseini: gli eventi esterni, come le invasioni o le guerre civili, possono essere compresi solo attraverso le esperienze singole e particolari dei protagonisti del romanzo. Hosseini sceglie dunque di parlare del suo paese da una prospettiva umana, dove il conflitto è la miccia che istaura una riflessione più profonda sull’identità del popolo afghano.

Conflitto culturale e con se stessi

Le prime pagine del libro raccontano l’infanzia del protagonista Amir negli anni 70 di un pacifico Afghanistan. Tuttavia, tumultuosi eventi politici si succederanno, come il rovesciamento della monarchia. Nell’instabilità politica del suo paese Amir cerca di trovare il proprio posto nel mondo, così come per tutto il resto del romanzo. Amir è un musulmano sunnita appartenente all’etnia Pashtun. La popolazione afghana è difatti etnicamente stratificata, principalmente tra Pashtun (42%), Tajicki (27%),Hazara (9%), Uzbeki (8%) e altre etnie (14%).

Migliore amico di Amir è l’Hazara Hassan. Amir e Hassan appartengono a due etnie diverse e questo andrà a costituire parte fondamentale delle loro rispettive identità. Questo perché Amir, da Pashtun è privilegiato. Insieme al padre Baba vivono in un quartiere benestante. Dall’altra parte, Hassan e suo padre sono i loro domestici, siccome la loro etnia li costringe ad una posizione di inferiorità nella società afghana.

Scoprii che la mia gente, i pashtun, li aveva perseguitati e oppressi. Da secoli, periodicamente, gli hazara cercavano di ribellarsi, ma i pashtun “li reprimevano con inaudita violenza”. Il libro diceva che la mia gente li aveva uccisi, torturati, aveva bruciato le loro case e venduto le loro donne. E una delle ragioni era che loro erano sciiti e noi sunniti. Il libro diceva cose che nessuno mi aveva mai detto. Ma anche cose che io sapevo benissimo, per esempio che gli hazara erano chiamati nasipiatti, mangiaratti, asini da soma.

Sebbene privilegiato da un punto di vista etnico e sociale, Amir si sente trascurato nella sua stessa casa. Difatti, al rapporto difficile tra padre e figlio si contrappone quello tra Hassan e Baba. Amir soffre infatti della mancanza di affetto del padre nei suoi confronti che non riesce a comprendere. Egli si sente superiore ad Hassan, poiché parte della sua identità è costruita intorno all’appartenenza all’etnia dominante e alla prosperità economica di cui giova. Eppure, il padre sembra preferire Hassan. Questo porta Amir al conflitto con Hassan, che tuttavia è più un conflitto con se stesso poiché Hassan non ha alcuna intenzione di prendervi parte. Tale conflitto culmina in un episodio che segnerà profondamente la vita di Amir, dando vita ad una spirale di sensi di colpa che potrà espiare, almeno in parte, alla fine del romanzo.

Nella prima parte del libro, il conflitto è dunque interno ed esterno: interno al protagonista che lotta per farsi riconoscere dal padre, e esterno in quanto conflitto etnico tra i vari gruppi etnici in Afghanistan. Difatti, nonostante la grande diversità culturale, etnica, religiosa, la vita politica dell’Afghanistan è stata ampiamente dominata dai membri dell’etnia Pashtun.

L’identità nell’immigrazione

L’idea dell’America piaceva a Baba.
Ma la vita in America gli fece venire l’ulcera.

Nel 1978, il clima afghano, da pacifico, si trasforma completamente. Dopo un altro colpo di stato militare, si instaura un governo di orientamento socialista che comincia a ricevere supporto militare dall’Unione Sovietica per contrastare l’opposizione armata, in gran parte sostenuta dai leader islamici. Inizia così l’invasione russa, momento in cui Baba e Amir fuggono in America.

Un nuovo conflitto sorge quando i due si scontrano con l’immigrazione e la necessità di forgiare o mantenere una propria identità negli Stati Uniti. Questa volta, però, i ruoli sono rovesciati: è Baba ad avere difficoltà a mantenere la propria identità nel contesto americano dove manca di quel potere e prestigio che lo contraddistinguevano in Afghanistan. Al contrario, Amir finalmente trova sé stesso nella possibilità tutta americana di diventare uno scrittore. Così il rapporto di potere tra i due personaggi è rovesciato. Amir diviene sinonimo di potere e eccellenza, di benessere economico, come lo era il padre all’inizio del libro. Baba invece incombe nella malattia, diventa debole e impotente. Nell’immigrazione Amir e Baba assumono identità speculari, ma al contempo riesco a risanare il loro rapporto. In ogni caso, i due lottano sempre per conservare almeno in parte la loro identità afghana. A testimonianza di ciò sono le interazioni che i due hanno negli Stati Uniti, principalmente all’interno della comunità afghana.

L’America era diversa. L’America era un fiume che scorreva tumultuoso, immemore del passato. Potevo immergermi in questo fiume lasciando che i miei peccati venissero trascinati verso il fondo, lasciandomi trasportare lontano. In qualche luogo senza spettri, senza ricordi, senza peccati.
Se non per altro, almeno per questo io abbracciai l’America.

Ritorno a Kabul: conflitto identitario

L’ultima parte del romanzo si sviluppa tra Pakistan e Afghanistan. Amir torna nella sua terra d’origine da uomo adulto e di successo, ormai integrato nella società americana. Torna a fare visita al migliore amico del padre che gli svela delle verità su Baba. Sebbene adulto, Amir è ancora vittima dei demoni del passato, dai sensi di colpa per i traumi infantili subiti. L’ultima parte del libro rappresenta dunque il confronto di Amir con se stesso, la risoluzione di quel conflitto identitario che lo assedia dalle prime pagine del romanzo.

Non posso andare a Kabul, avevo detto a Rahim Khan. In America ho una moglie, una casa, una carriera, una famiglia.
Ma come potevo tornarmene a casa, se le mie azioni erano costate ad Hassan la possibilità di possedere le stesse cose?

Nella redenzione, Amir trova se stesso, rimediando agli errori del passato, osservando e conoscendo un nuovo Afghanistan travolto dai talebani. Alla fine del libro, Amir confronta i suoi peccati, trovando nel dolore fisico ed emotivo la redenzione. In un certo senso, il ritorno a Kabul, nella terra natale che lo ha visto crescere, errare e perdersi, ritrovare se stesso e solve il conflitto identitario che tanto lo aveva assillato nella sua vita. Finalmente ottiene quel perdono che per lungi aveva chiesto invano, ossia nel luogo sbagliato. Solo l’Afghanistan può darglielo veramente.

Il cacciatore di aquiloni è un libro da una potenza inestimabile. Hosseini riesce a mettere nero su bianco la storia difficile di un Paese tramortito da forze interne e esterne, dove i conflitti sono all’ordine del giorno. Ma al di là degli eventi esterni, questo libro è la prova che l’instabilità di uno Stato mette alla prova prima di tutto i cittadini, poiché la loro identità è messa a confronto con il precario equilibrio degli eventi.

Correvo. Ero un uomo adulto che correva con uno sciame di bambini vocianti. Ma non mi importava.
Correvo con il vento che mi soffiava in viso e sulle labbra un sorriso ampio come la valle del Panjsher.
Correvo.
Chiara Cogliati

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